Il braccio di ferro che ha tenuto in sospeso il mondo finanziario con la possibilità di un eventuale default del debito americano è finito con il solito teatrino politico che ha evitato quella che era stata definita da molti economisti come una potenziale grande catastrofe.
I repubblicani hanno ceduto su tutto e Obama ne è uscito vincitore a piene mani. Ma in realtà sono gli Stati Uniti che escono sconfitti avendo ormai perso il ruolo di leadership sia politica ma soprattutto economica. Sono ancora infatti la prima economia del mondo ma condannati per i propri errori verso un irreversibile declino.
Anche coloro che pensano di aver vinto questa battaglia in realtà stanno perdendo una guerra molto più importante vale a dire la stabilità economica nel prossimo futuro. Non mi riferisco all’anno 2050 che non interessa a nessuno dei miei lettori anche per motivi anagrafici ma ad un orizzonte temporale molto più reale tra i sei mesi e non oltre il triennio vista la lentezza con cui l’economia si evolve e la velocità, ahimè, con la quale si disgrega.
Gli Stati Uniti quindi tentano di ripartire con un accordo capestro “to kick the can” (dai un calcio alla lattina) spostando il problema di tre mesi in avanti. Il 15 gennaio è la scadenza del rifinanziamento del governo ed il 7 febbraio del nuovo limite del debito pubblico. Tutto è rientrato e i mercati finanziari mondiali ma soprattutto i grandi burattinai (i banchieri e le banche centrali) che gestiscono il palcoscenico possono festeggiare con nuovi record degli indici. A prima vista sembrerebbe sia così ma l’apparenza spesso inganna.
Lo shutdown parziale dell’apparato statale americano si è prolungato per ben 16 giorni. Più che sui costi diretti per l’economia domestica difficilmente stimabili con precisione al momento ma previsti tra lo 0,3% e lo 0,5% di minor PIL creato nel quarto trimestre dell’anno mi soffermerò sulle conseguenze indirette che non sono state sufficientemente rimarcate e che avranno effetti indiretti se non duraturi sulle abitudini personali e anche sui mercati finanziari (bond, equity e valute) che più ci interessano. In questa prima parte analizzerò l’impatto domestico e nella successiva quello politico ed infine internazionale.
1) DOMESTICO
– PARZIALE MESSA IN MOBILITA’: inizialmente dovevano essere 800.000 i lavoratori colpiti. Poi dopo una settimana il governo ha richiamato circa la metà dei lavoratori nel settore militare e della difesa che rischiava la chiusura di alcuni settori strategici ed essenziali essendo gli Stati Uniti il bersaglio preferito dai terroristi.
– FINANZE PRIVATE: parliamo pertanto di meno di mezzo milione di lavoratori che non hanno recepito un salario per metà del mese su una popolazione attiva di oltre 140mln, vale a dire meno dello 0,4%. Sembrerebbe un problema inesistente ma non è così. Il 25% dei lavoratori americani vive con il pay-check, l’equivalente della nostra busta paga. Hanno risparmi quasi nulli al punto che molti di loro possono sopravvivere poco più di un mese senza stipendio. Altri ancora meno e confidano nell’assegno che ricevono anche con frequenza settimanale per onorare le montagne di debiti (mutui, auto, mobili, scuole dei figli, acquisti a rate) che hanno contratto e che devono restituire con periodicità mensile. Una vera situazione di panico confermata da alcuni comportamenti di compensazione istituiti dai mancati percettori di stipendio. Il più incredibile è stato il raddoppio degli iscritti ai siti di e-commerce (EBAY per fare un esempio) già nella prima settimana di shutdown, specialmente nel distretto della capitale, la più colpita dalla mobilità per la presenza di molti uffici governativi. Le persone in mobilità hanno cercato di svuotare solai e cantine e non solo nel tentativo di fare cassa e finanziarsi in caso di chiusura prolungata.
– RIAPERTURA ED IMPATTO ECONOMICO: Oggi riaprirà completamente la macchina statale ma ci vorranno settimane e mesi per ritornare alla situazione di normalità, giusto in tempo per ritrovarci forse sotto la stessa pressione il 15 gennaio prossimo se le due fazioni politiche non troveranno un accordo sul budget tra tagli e nuove tasse per ridurre il deficit e contenere la lievitazione a dismisura del debito. Ma mentre i parchi ed i musei si riaprono in 24 ore l’esecuzione dei contratti sottoscritti dal governo con aziende private ed il loro pagamento necessiterà di tempi molto più lunghi con notevoli disservizi e lamentele di coloro che dovranno essere pagati.
– IMPATTO EMOTIVO E CONSEGUENZE: L’ultimo shutdown si è verificato a cavallo degli anni 95-96 con una economia in piena crescita economica e non drogata dalle politiche economiche espansive e non convenzionali (QE) dell’ultimo quadriennio. Inoltre anche negli Stati Uniti il posto di lavoro nel pubblico è considerato un po’ più protetto rispetto al privato e i lavoratori colpiti si sono sentiti molto vulnerabili. Questo inciderà sulle loro abitudini di consumo anche in vista di un possibile ripetizione dello stesso dramma tra 3 mesi. Ma non saranno gli unici perché anche altre categorie di lavoratori sono state colpite in quanto assunti da aziende che lavorano per il governo e che sono state costrette anch’esse ad una mobilità parziale della loro forza lavoro o addirittura a licenziamenti. La fiducia dei consumatori, indicatore molto seguito in quanto i consumi domestici incidono per oltre i due terzi (69% circa) sulla determinazione del PIL, è calata già a settembre ai livelli di inizio anno. Dopo la deludente stagione di acquisti post-estiva, quella di agosto-settembre legata al ritorno a scuola, si temono con molta apprensione le tre prossime “shopping seasons” in ordine cronologico: Halloween a fine ottobre, Black Friday, il terzo venerdì del mese di Novembre ed il giorno successivo al Thanksgiving o giorno del ringraziamento ed uno dei periodi di vacanza più lunghi (4giorni ) degli americani e ovviamente Natale che inizia prima perché in molti luoghi lo festeggiano a Santa Lucia (13 dicembre).
Molti americani come del resto noi europei (vedi II parte) poco abbiamo capito della disputa politica ed economica avvenuta nel Parlamento americano. Forse i repubblicani hanno tirato troppo la corda nella speranza che Obama potesse cedere e hanno invece dovuto arrendersi su tutti i fronti. Il presidente ha giocato la sua partita fino in fondo sicuro che l’avversario politico non si sarebbe spinto a rischiare il default della prima economia mondiale. Chi perde però è l’economia di strada con una classe politica (sono tutti uguali in ogni parte del mondo) incapace di prendere decisioni strutturali come quelli della riduzione della spesa statale e del contenimento del crescente debito pubblico.
Kicking the can down the road è solo un rimedio ma non è una soluzionee la politica fiscale che compete al governo non può essere così disattesa lasciando solo all’autorità monetaria il compito di tappare le falle che il capitalismo selvaggio ha generato nell’ultimo trentennio. E questo è un problema non solo americano ma di tutti gli attuali governi.