Il crollo della divisa nazionale – la lira turca – precipitata del 14% nell’ultima seduta e del 24% nella precedente ottava lascia aperte diverse incognite sul futuro dell’economia medio orientale od ormai europea come molti la considerano.
La radicalizzazione delle politiche di Erdogan e lo scontro frontale sempre più aspro nei confronti di Trump e degli Stati Uniti sta isolando l’economia turca mettendo a nudo problemi strutturali che erano già evidenti da alcuni anni e che l’attuale leader politico ha cercato di nascondere ottenendo un consenso interno sempre più vasto, incarcerando migliaia di oppositori, con atteggiamenti nazionalisti non graditi dai mercati finanziari i quali hanno punito prima la valuta in forte discesa da inizio anno e successivamente il mercato obbligazionario spingendo i rendimenti sul titolo decennale a livelli record superiori al diciotto per cento annuo. Nelle ultime settimane anche la Borsa di Istanbul ha iniziato a cedere risentendo delle ripercussioni che potrebbero nascere nei principali gruppi industriali e bancari del Paese qualora la turbolenza dovesse persistere o addirittura peggiorare.
Le tensioni recenti tra Erdogan e la Banca Centrale, con quest’ultima sempre meno indipendente, non hanno facilitato una soluzione della crisi che diventa sempre più pericolosa per la sua possibilità di contagio ai Paesi che hanno forti legami economici con l’economia turca.
Anche l’Italia si posiziona tra le cinque nazioni dalle quali la Turchia importa più beni o servizi grazie all’export italiano di 10 miliardi di euro annui verso l’economia medio orientale, previsti in crescita a €12mld entro il 2020.
Diversi sono i nostri settori merceologici coinvolti dall’industria (meccanica), al tessile, dalle costruzioni fino alla finanza con aziende che hanno effettuato investimenti significativi nei tempi passati come Unicredit che detiene la quarta banca privata del Paese, fino a FCA e Pirelli che da anni hanno siti produttivi in Turchia. Importante è anche la presenza di Salini (costruzioni) e Leonardo (aerospaziale).
L’entità del crollo della lira turca ha obbligato anche la Bce ad analizzare le potenziali implicazioni di un parziale default turco, in particolare sul fronte societario, e le implicazioni di un effetto contagio sul sistema bancario e finanziario europeo.
L’esposizione creditoria domestica in valuta (al 95% in dollari) è pari al 40% di tutti gli assets e si teme per le prossime insolvenze.
Unicredit, ma anche la spagnola BBVA e la francese BNP Paribas sono le banche europee più direttamente esposte in Turchia in quanto detengono partecipazioni anche di maggioranza in alcune Istituti bancari del Paese. Tuttavia il contagio di una eventuale crisi finanziaria si estenderebbe anche ad altre nazioni europee ed è per tale motivo che la Banca Centrale Europea ha iniziato un’attenta attività di monitoraggio.
GLI SVILUPPI FUTURI
La Turchia ha un ruolo strategico sia geopolitico che economico per pensare che possa essere totalmente abbondonata al suo destino e da ogni attore dello scacchiere politico mondiale.
Trump sta forzando la mano consapevole che la Turchia è disposta ad uscire dalla Nato come ritorsione all’aumento dei dazi americani ma, con tale esito, regalerebbe l’economia turca nelle mani di Putin e della Cina, quest’ultima pronta ad inondare Ankara ed il resto dello Stato di liquidità per evitare una bancarotta nazionale.
Erdogan, in questo caso, metterebbe in atto una de-dollarizzazione lasciando fallire le aziende che sono “USA-oriented” per salvare, invece, quelle filo turche.
Un’altro scenario possibile, ma più improbabile considerate le inclinazioni dittatoriali di Erdogan, è un aumento shock dei tassi di interesse da parte della Banca Centrale domestica (come fece la Russia tra il 2014 ed il 2015) e la richiesta di un intervento di “bail-out” al Fondo Monetario Internazionale, ipotesi non gradita dal leader islamico per il profilo troppo americano dell’Istituzione finanziaria mondiale.
Chi pensa, di conseguenza, che la crisi turca possa provocare un contagio superiore a quella greca del 2010 probabilmente eccede in pessimismo.
E’ palese che l’economia turca rischi di avvitarsi su sé stessa e che il peggio non sia ancora dietro le spalle, ma qualora venisse abbandonata al suo destino dagli Stati Uniti troverebbe nuovi alleati molto interessati al suo enorme potenziale economico e geopolitico vista la sua posizione strategica nello scacchiere mediterraneo orientale.