16.000 uomini, mezzi blindati e navali sono stati schierati dalla Russia in Crimea, la provincia ucraina sul Mar Nero da sempre considerata strategica per Mosca e con una popolazione a maggioranza russa per quasi i due terzi.
L’Europa è rimasta spiazzata e con gli Stati Uniti ha cercato di fare la voce grossa, arrivando a minacciare ritorsioni politiche, come l’esclusione dal G8, ed economiche, con sanzioni ed isolamento delle aziende russe.
A prima vista la Russia potrebbe essere molto penalizzata da una eventuale ritorsione economica da parte del mondo occidentale, ma analizzando le reciproche relazioni nel dettaglio non è poi così scontato.
Gli Stati Uniti sono il Paese geograficamente più lontano dal conflitto geopolitico nell’Europa dell’Est. Un intervento militare nella zona è escluso, anche qualora i russi iniziassero a sparare e ad invadere anche la parte orientale dell’Ucraina. Sarebbe troppo lontano e costoso ed una nuova guerra fuori dai confini sarebbe osteggiata pesantemente dall’opinione pubblica, esausta da anni di recessione e bassa crescita, in parte anche causate da inutili, sanguinose e costosissime ultra annuali campagne militari in Afghanistan ed Iraq.
Ad Obama e al suo staff non resta quindi che abbaiare, sapendo di non poter mordere. Un triste declino per la ex prima potenza militare mondiale. Gli Stati Uniti sono stati inoltre messi in subordine dalla Cina, altra grande potenza, che ha appoggiato la Russia sin dall’inizio della crisi. Putin si garantisce così un appoggio in Asia, dove ci sono altre repubbliche ex-sovietiche in semi rivolta, come il Kirghizistan ed il Kazakhstan. In cambio la Cina pretenderà l’appoggio nella disputa contro il Giappone e la Corea per la sovranità di alcuni arcipelaghi nel Mar della Cina.
Anche la Germania è in una posizione di debolezza, importando quasi il 45% del proprio fabbisogno di gas da Mosca. I margini di manovra della Merkel appaiono pertanto limitati ad alcune schermaglie verbali.
Per la Gran Bretagna, invece, qualora le sanzioni minacciate fossero applicate alla Russia, il costo eccederebbe quello sovietico. Questo è quanto appare da un documento del Foreign Office inopportunamente o volutamente pubblicato, nei giorni scorsi, con le seguenti rivelazioni.
Londra ha investimenti in Russia per oltre £43 miliardi nel 2011 (l’ultimo anno per il quale la statistica sia disponibile), mentre Mosca né dichiara nella “perfida Albione” £27 miliardi, poco più della metà. Su queste basi le aziende e gli investitori britannici avrebbero molto da perdere da un congelamento degli “assets” da parte di Mosca.
In aggiunta, e abbastanza sorprendentemente, gli inglesi hanno negli ultimi anni hanno avuto un surplus delle partite correnti nei confronti della Russia ed in continua crescita: £2.9 miliardi nel 2012, dai £2.1 miliardi nel 2011. Il fatto è alquanto anomalo, in quanto la Gran Bretagna registra un deficit con i maggiori Paesi negli ultimi trent’anni.
Se poi guardiamo la qualità degli investimenti reciproci, la possibilità di sanzioni britanniche nei confronti della Russia si affievolisce ulteriormente.
Gli oligarchi russi hanno contribuito al forte rialzo delle quotazioni immobiliari nella capitale inglese ed i loro redditi sono fonte di importante entrate fiscali per la città. A sua volta la principale impresa britannica impegnata in Russia è la società petrolifera BP, la quale non può permettersi altri passi falsi dopo il disastro del 2010 nel Golfo del Messico, con la fuoriuscita di milioni di tonnellate di petrolio dalla rottura di una piattaforma di trivellazione, con conseguenze legali di diversi miliardi di dollari, ancora non tutte quantificate.
Anche le banche inglesi hanno discreti crediti verso l’economia sovietica, anche se meno significativi rispetto ai partner europei. Nello specifico, le banche anglosassoni sono esposte per oltre £19 miliardi verso il settore pubblico e privato russo ed hanno un totale rischio Paese di £42 miliardi. Una cifra comunque da non sottovalutare per il sistema finanziario britannico, ancora convalescente dai postumi della grande recessione del 2008.
In questo ambito, l’Europa è sicuramente molto più a rischio. Tra i £242 miliardi che le banche europee hanno prestato alla Russia, £184 miliardi sono stati erogati dagli istituti di credito dell’area euro, con Francia, Italia e Germania tra i Paesi più esposti.
Quest’ultimo dato conferma che l’Europa è economicamente molto più dipendente dalla Russia, rispetto alla Gran Bretagna ed agli Stati Uniti. Dall’Ucraina passa inoltre oltre il 50% del gas diretto verso l’Europa centrale ed occidentale ed il rischio di ritorsioni sarebbe possibile in caso venissero applicate sanzioni, come propone la Francia. Tuttavia, solo il 30% del gas e del petrolio consumato in Europa viene importato dalla Russia.
I leader europei penseranno pertanto molto attentamente prima di deliberare sanzioni economiche e molto più degli Stati Uniti. Tutto questo non esclude la necessità di ritorsioni contro l’invasione militare sovietica in Ucraina che tuttavia non sarà senza oneri per i Paesi proponenti.
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