Draghi, la BCE, la Commissione Europea e anche i nostri politici domestici a turno, dall’Italia alla Grecia, dalla Francia al Portogallo, continuano a sostenere che non solo la recessione è finita ma si intravedono chiari segnali di ripresa.
La realtà è invece più complicata; le economie europee entrano nel 2014 per affrontare il sesto anno consecutivo della crisi economica più lunga e pesante dalla fine del conflitto mondiale. Qualche segnale di debole ripresa o di stabilizzazione si intravede in qualche Paese europeo, ma la stessa banca centrale ammette che il tessuto economico è ancora molto fragile ed esposto al riacutizzarsi delle ferite ancora sanguinanti.
Le Borse di Francoforte e Londra però festeggiano registrando quest’anno performance che si avvicinano al +30%, dopo una corsa senza sosta nell’ultimo anno e mezzo inanellando massimi storici uno dopo l’altro dal 24 luglio 2012 quando il Presidente Bce affermò l’ormai famoso “whatever it takes” per salvare l’Euro e l’Europa.
Una sorta di paracadute verbale e psicologico molto più virtuale rispetto al quantitative easing della FED e di altre banche Centrali ma altrettanto efficace nel risultato: la fiducia degli investitori che hanno inondato i mercati europei di liquidità sia sulle Borse ma anche sui bond governativi riportando gli spread in quasi tutti i Paesi, ad eccezione di Portogallo e Grecia, ai livelli precedenti la crisi del 2011.
Ma nelle rose ci sono anche le spine. Nei giorni scorsi Eurostat ha pubblicato una ricerca sulla povertà in Europa analizzando uno dei principali parametri: il rischio di povertà. Secondo il rapporto 125milioni di europei, pari al 24,8% della popolazione, rientrano in questa categoria e sono a forte rischio di emarginazione sociale.
Fuori dall’euro le percentuali più elevate riguardano i Paesi dell’est ed in particolare la Bulgaria che sfiora il 50%.
All’interno della moneta unica il primato spetta alla Grecia, malgrado le forze politiche sostengano da mesi che la crisi è ormai alle spalle, Paese nel quale un terzo della popolazione è a rischio povertà.
Portogallo, Cipro, Spagna e Italia, vale a dire gli altri Paesi mediterranei in difficoltà finanziaria, si trovano tutti al di sopra della media europea. Sorprende anche il tasso della Germania che si avvicina al 20%, superando la Francia.
Sebbene l’indice di povertà sia solo uno tra gli indici di valutazione degli standard di vita di un Paese, la percentuale così elevata raggiunta conferma perlomeno le difficoltà del mercato del lavoro che tuttora non vengono affrontate in modo sistemico. La perdita di posti di lavoro nel quinquennio di crisi ha generato oltre 20mln (siamo quasi a 23mln) di disoccupati in Europa, con conseguenti cali di reddito e negli standards di vita di percentuali significative della popolazione.
Quanto proseguirà lo stillicidio della perdita dei posti di lavoro in Europa e come pensano di arginare questo fenomeno sarà ancora il tema principale del 2014. Alcune economie rimbalzeranno registrando un Pil positivo ma il tasso di disoccupazione è previsto ancora in aumento.
La Bce sostiene di aver risolto la crisi finanziaria, ma per ora ha solo guadagnato tempo. Purtroppo né loro né i rispettivi governi hanno invece una chiara idea di come riattivare l’economia di strada.