Cile, Libano, Catalogna ma anche Francia, Venezuela, Argentina, Egitto, Ecuador, Bolivia, Russia ed Hong Kong sono solo alcuni dei più noti principali focolai di rivolta o solo di protesta di parte delle popolazioni locali, le quali chiedono, nella maggior parte dei casi, più libertà, democrazia, rispetto dei diritti umani, l’allontanamento dei corrotti dalle cariche pubbliche, ma quasi sempre migliori condizioni economiche, sociali ed adesso anche ambientali.
Quello che appare come un miglioramento del tenore di vita negli ultimi decenni non sempre si è verificato in modo tangibile per la gran parte della popolazione, che lamenta sempre le stesse carenze: redditi che non aumentano, mancanza adeguata di strutture pubbliche (sanità, istruzione e trasporti) prezzi e tariffe che aumentano.
Le politiche fiscali e monetarie applicate a seguito dell’ultima grave crisi finanziaria del 2008 hanno portato al miglioramento delle condizioni di vita solo per una minima parte della popolazione e principalmente nei Paesi sviluppati, mentre sono peggiorate le condizioni economiche della cosiddetta classe media, sempre più vessata tra aumenti di spese e nuove tasse che incidono sui consumi. Questo fenomeno si è verificato soprattutto in Europa, dove ampi debiti pubblici non hanno permesso ai governi di poter spendere e di ridurre le tasse che anzi, in molti casi, sono aumentate pesando sulle categorie, che le hanno da sempre già pagate.
Ma la parte del leone l’ha fatta la politica monetaria, che negli ultimi anni è stata molto invasiva ed ha rivoluzionato le abitudini dei consumi radicate nella società da diversi decenni nella maggior parte dei Paesi sviluppati.
In particolare, i bassi tassi di interesse hanno azzerato progressivamente le rendite sui risparmi e spinto molti cittadini ad indebitarsi in particolare per acquistare un appartamento grazie ai mutui sempre più convenienti. I prezzi degli immobili sono saliti in modo considerevole in molte nazioni, divenendo irraggiungibili per una larga fascia della popolazione, costretta a sopportare locazioni sempre più onerose.
Negli Stati Uniti le spese per la casa sono passate dal 30% medio del reddito disponibile negli anni ’90 al recente 45-55% (tra mutuo ed affitto), costringendo i cittadini ad aumentare il livello di indebitamento per mantenere inalterato il tenore di vita e dei consumi.
In aggiunta, malgrado l’inflazione dichiarata abbia raggiunto minimi storici poco al di sopra dello zero, quella percepita è molto più elevata per l’aumento dei prezzi dei servizi di base (utenze, istruzione, trasporti e sanità), che rendono complicato arrivare a fine mese senza intaccare i risparmi o accedere a nuovo/ulteriore debito.
Questo è solo l’esempio più eclatante, ma è evidente che l’applicazione della politica monetaria così ultra espansiva nelle principali economie mondiali, e per un periodo così prolungato, abbia provocato anche un effetto distorsivo.
Sicuramente ha evitato il pericolo di default di alcuni stati e di tantissime aziende, ma ha provocato anche un impoverimento per gran parte della popolazione, che non ha la possibilità di accedere ai finanziamenti a tassi agevolati ed è stata ulteriormente penalizzata da qualsiasi tipo di aumento delle tariffe. Chi invece ha la fortuna di avere qualche risparmio non ha più potuto beneficiare delle rendite finanziarie degli anni passati, che integravano modesti stipendi o basse pensioni.
Ed ecco che per passare dal malumore alla protesta di piazza il passo è stato breve. La brace era in molte situazioni locali accesa da diversi anni ed è bastata un provvedimento legislativo (Hong Kong e Catalogna) od un aumento delle tariffe (Cile ed Ecuador) per scatenare la rivolta.
LA VIA DI USCITA
Ormai diversi economisti si sono resi conto che la medicina dei tassi a zero o negativi incomincia ad avere, dopo diversi anni, un effetto controproducente su una importante percentuale della popolazione. Infatti, mentre la classe media gode in generale ancora di una dose di risparmi alla quale ancora attingere, le classi più povere sono state ulteriormente penalizzate e vessate dalle politiche monetarie e fiscali applicate dai governi successivamente allo scoppio della crisi finanziaria.
I moti di protesta, anche violenti, sono un monito allarmante nei confronti dei governi e dei governatori centrali, affinché agiscano prontamente, ascoltando la piazza.
Anche la politica monetaria dovrà cambiare prima o poi atteggiamento, malgrado le tre principali – Fed, Bce e Banca del Giappone – sembrino sorde ed incaponite nella loro versione ultra espansiva. La prima crepa arriva dalle più piccole, come la Banca di Svezia che probabilmente metterà fine a dicembre alla sua politica quasi quinquennale di tassi negativi. Anche in Svezia, Paese benestante ma con vaste sacche di immigrati, i malumori sono aumentati e la politica fiscale riprenderà la leadership su quella monetaria per contenere il gap crescente tra le diverse fasce della popolazione.