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Pinguinoeconomico

NEWSLETTER SETTIMANA 2 – 8 MAGGIO 2016 – LA FED IN UN VICOLO CIECO

 

L’incubo della Yellen non è solo Donald Trump, il quale ha affermato in settimana che, qualora diventasse il prossimo inquilino della Casa Bianca a novembre, licenzierà l’attuale presidente della Banca Centrale statunitense.

Da venerdì, anche il mercato del lavoro, forse l’unico vero pilastro di questa debole ripresa a stelle e strisce, potrebbe averle voltato le spalle e costringere “lady Fed” a rimandare sine die l’aumento dei tassi di interesse. Dolce musica per Wall Street e per gli altri mercati azionari planetari, ma non per Janet che ambisce a ripristinare una politica economica più tradizionale. La Banca Centrale è consapevole che l’economia domestica stia effettivamente rallentando e teme il rischio di trovarsi con le armi ormai spuntate (tassi già a zero) per affrontare la prossima recessione.

 

USA

Anche con il recupero di venerdì, lo S&P500 termina in ribasso per la seconda settimana consecutiva, per la prima volta dallo scorso febbraio. Il dato sul mercato del lavoro, al di sotto delle attese, ha prima penalizzato e poi galvanizzato i listini domestici, più soddisfatti per l’allontanamento dello spauracchio del rialzo dei tassi di interesse che preoccupati dal momentaneo indebolimento del mercato del lavoro.  I 160.000 nuovi occupati del mese di aprile non sono di per sé un dato così negativo, ma rappresentano il livello di assunzioni minimo dallo scorso settembre.

I listini domestici hanno digerito, senza particolari scossoni, altre notizie negative, quali il primo serio default di Portorico per 370 milioni di dollari e l’ormai definitiva “nomination” repubblicana di Trump nella corsa alle presidenziali di novembre, in seguito alla schiacciante vittoria in Indiana ed al successivo ritiro dei due candidati che ancora lo ostacolavano.

 

ASIA

Mentre gli Stati Uniti sembrano già scontare, in misura molto razionale, la probabile entrata in recessione dal secondo semestre, la situazione nel Pacifico orientale sembra molto più caotica, a causa delle manifeste difficoltà delle due principali Banche Centrali, nipponica e cinese, nel cercare di evitare un brusco rallentamento della crescita economica e combattere una deriva inflazionistica già molo evidente. Tokyo è rimasta chiusa da martedì a giovedì per festività, una vera benedizione dopo il tonfo di inizio settimana (-3,5%), mentre nel finale di ottava non è riuscita a recuperare (-0,25%) le precedenti perdite. Venerdì ha ceduto anche Shanghai (-2,8%) che fatica a gestire la nuova bolla interna sui derivati delle materie prime. Il trend negativo si era già accentuato con la pubblicazione dell’indice manifatturiero cinese, per l’ennesimo mese consecutivo in fase di contrazione (sotto la soglia dei 50 punti).

 

EUROPA 

Il vecchio continente zoppica, forse anche più dell’Asia, a giudicare dall’andamento molto altalenante dei mercati azionari che hanno riproposto un repentino aumento della volatilità, da inizio mese. Dax sotto i 10.000 punti ed Eurostoxx50 sotto la soglia dei 3.000 sono la conferma di questo rinnovato nervosismo. Il listino italiano non riesce ad andare in controtendenza, ma si difende meglio rispetto alle altre Piazze europee, grazie al rimbalzo del comparto bancario. Il FtseMib scende sotto quota 18.000 punti, ma recupera in chiusura l’ulteriore affondo fino a 17.600 punti. Bassa crescita, l’avvicinarsi delle scadenze greche il prossimo luglio, le tensioni politiche in Turchia che indeboliscono l’economa locale, le nuove elezioni politiche in Spagna ed i timori per la Brexit, rappresentano un macigno troppo pesante per sperare in decisi rialzi degli indici europei fino all’estate.

 

MATERIE PRIME

Oro nero e metallo giallo sono stati ancora i protagonisti di questa ottava. Il metallo prezioso è risalito ad inizio settimana sopra i 1.300 dollari l’oncia, ma è scivolato in chiusura di nuovo a $1.280, in scia al dato sull’occupazione americana che riduce sensibilmente la possibilità di nuovi rialzi dei tassi di interesse negli Stati Uniti.

Petrolio di nuovo sull’ottovolante con oscillazioni tra i 43,5 ed i 46 dollari al barile. La stabilizzazione del dollaro che è tornato leggermente ad apprezzarsi ha evitato ulteriori apprezzamenti del greggio.

 

VALUTE

Settimana burrascosa per alcune valute emergenti. Yuan cinese, won coreano e ringit malese registrano, a metà settimana, discese superiori ad un punto percentuale intraday. Anche il dollaro australiano inverte la tendenza di rivalutazione rispetto al biglietto verde degli ultimi tre mesi, in seguito all’imprevisto taglio dei tassi di interesse della scorsa settimana della Banca Centrale australiana. La palma settimanale della peggiore valuta va assegnata alla lira turca che mercoledì ha perso il 4,75% rispetto al biglietto verde ed il 3,8% nei confronti della moneta unica, il peggior crollo in una seduta dal 2008.

Ottava stabile per yen ed euro. Quest’ultimo si rafforza lievemente venerdì in seguito al debole dato sull’occupazione americana.

 

SINTESI

Aumentano le nubi sullo stato di salute dell’economia mondiale. Gli Stati Uniti rallentano, l’Asia risente più del previsto della crisi delle materie prime, mentre l’Europa si trascina una crisi bancaria ancora irrisolta. I mercati azionari sbandano, ma non crollano e Wall Street rimane l’ultimo baluardo ancora inespugnato, da oltre sette, anni dai ribassisti.

Forse il sogno della Yellen di “normalizzare” la politica monetaria riportando i tassi di interesse ai livelli pre-crisi sarà irraggiungibile, ma la droga monetaria continua ad essere la principale e quasi unica medicina, ad eccezione degli USA dove contribuiscono anche i buybacks azionari, per prolungare ancora questo trend rialzista.

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