Sotto la luce dei riflettori è ancora la Grecia. Il tour europeo di Tsipras e del ministro delle finanze non ha dato l’esito sperato. Il Paese è nell’angolo, isolato dalla totalità dei partners europei i quali, anche se alcuni con toni sfumati, si sono schierati con la Germania e la BCE. La Grecia ha, al momento, rifiutato l’ultima tranche di aiuti prevista dal piano di salvataggio per 7 miliardi di euro a fine febbraio. In tal modo vuole respingere il piano precedente e chiede un prestito ponte, invece, fino a maggio. Per tutta risposta il rating del Paese è stato abbassato da Standard & Poor’s, mentre la EU ha intimato alla Grecia di aderire al piano già previsto dalla Troika entro il 16 febbraio. Un vero e proprio ultimatum che metterà in seria difficoltà il nuovo Governo, sostenuto dalle prime manifestazioni di piazza in suo favore, ma anche in bilico tra default ed uscita dall’euro.
Merkel ed Hollande a colloquio da Putin, nel tentativo di porre un freno all’escalation della guerra in Ucraina.
ISIS, svalutazione della moneta ucraina, recupero del petrolio e discesa del’oro sono gli altri temi della settimana ai quali si aggiungono anche i dati macroeconomici cinesi, europei ed americani da commentare.
MERCATI FINANZIARI: l’S&P500 ha chiuso la settimana in rialzo del +3%, rischiando di avvicinarsi ai nuovi massimi storici, superati, invece, dal listino tedesco. Segnalo invece la peggior settimana del listino cinese dal dicembre 2013, che inizia a scontare la folle ascesa (+60% in 5 mesi) ed il preoccupante rallentamento della seconda economia mondiale. La Borsa di Atene rimbalza del +9%, aiutata anche dalla ripresa del settore bancario. Il bilancio delle ultime due settimane resta però ampiamente negativo e raggiunge il -40% da settembre scorso.
Sul fronte obbligazionario, recupero dei rendimenti ellenici che rimangono, tuttavia, su livelli insostenibili. Il decennale ritorna appena sotto la soglia del 10%, mentre il rendimento del triennale passa dal 19,5 al 17%…!!
Prosegue, invece, il riavvicinamento dello spread tra il decennale domestico (BTP) e quello spagnolo. Dai trenta basis points di fine anno, si è ridotto a nove, sullo sfondo delle elezioni greche che hanno rilanciato nei sondaggi le quotazioni del nuovo partito di sinistra Podemos che si ispira a quello greco Syriza, vincitore delle elezioni elleniche.
Il rendimento del BUND tedesco scende sotto quello del corrispettivo giapponese (grafico), mentre il Tresuary americano risale con forza fino all’1,95%, su aspettative di rialzo dei tassi da parte della Fed a giugno. Il balzo settimanale è stato il più significativo (+30bps..!) dal gennaio 2009. Il trentennale è tornato sopra la soglia del 2,5% ed il due anni allo 0,62%.
MERCATI EMERGENTI
Libia, ISIS, Egitto e Turchia sotto i riflettori. Aumenta la pressione sulle valute emergenti, esposte alla forza del dollaro americano e molte di queste anche alla caduta del prezzo del greggio.
LIBIA: il Paese è nel caos, pervaso da bande di fondamentalisti islamici che controllano sette delle dodici principali città. Secondo altre fonti, la Libia è sull’orlo della bancarotta con il prezzo del petrolio a $50.
INDONESIA: le esportazioni sono calate a dicembre del -13.83% sull’anno precedente, mentre il consenso del nuovo precedente è calato dal 72 al 42% in soli sei mesi.
VENEZUELA: vola l’inflazione ormai oltre il 60%, mentre il Paese è piombato in una crisi economica senza precedenti.
BRASILE: produzione industriale a dicembre -2.7% sull’anno, rispetto a -2.5% previsto. Il Paese, come analizzato nell’articolo allegato, rischia di cadere in recessione nel 2015, una vera tragedia per un Paese emergente.
RUSSIA: Il Pil dovrebbe calare del -3% nel 2015 con i prezzi del petrolio a $50 al barile, mentre l’inflazione salirà al +12%, rispetto alla precedente stima del +7%. A dicembre, l’indice dei prezzi al consumo è salito al +15%, rispetto alla previsione del +13,3% ed al +11,4% del mese precedente.
Nei due primi mandati di Putin (2000-2008), il Pil era cresciuto del 7% annuo.
A sorpresa la Banca Centrale abbassa i tassi dal 17% al 15%, malgrado il rublo sia di nuovo in caduta libera fino ad oltre 70 per un dollaro, ai nuovi minimi assoluti dello scorso dicembre.
Turchia: anche la lira turca ha registrato una serie di nuovi minimi storici in settimana fino a 2,48 contro il biglietto verde.
UCRAINA: la Banca Centrale prevede un tasso di inflazione per il 2015 al 17,5%, Il 6 febbraio ha alzato i tassi di interesse di 550 basis points dal 17,5% al 23%, mentre il giorno prima aveva svalutato la valuta locale tra il 25% ed il 35%, dopo essere già crollata del -50% lo scorso anno.
L’economia è al collasso con il Pil già crollato del -6,7% nel 2014 e previsto ancora in calo del -4/5% nell’anno in corso.
La guerra nella parte orientale del Paese non si ferma al punto che la Merkel ed Hollande sono volati da Putin per cercare un accordo. Il francese ha proposto una zona demilitarizzata di 50-70km nella zona del conflitto, ma sembra che la soluzione non piaccia ai russi.
EUROPA (Zona Euro): crescita modesta e deficit ancora molto elevati. Tutto riportato nel grafico seguente.
Migliora invece l’indice degli acquisti manifatturieri a 51.0 a gennaio dai 50.6 di dicembre.
GERMANIA: Gli ordinativi all’industria sono aumentati a dicembre in Germania, la prima economia della zona euro, del +4,2% sul mese precedente. Gli economisti avevano atteso un aumento dell’1,5%. Il dato di novembre è stato confermato a -2,4%.
Gli ordinativi interni sono aumentati a dicembre del +3,4% e quelli esteri del +4,8%; quelli da parte dei soli Paesi che fanno parte dell’Eurozona sono balzati, invece, del +5,9%. Su base annua gli ordinativi all’industria sono aumentati a dicembre del +3,4%. Gli esperti avevano previsto un aumento dello 0,7%.
Scende invece, sempre a dicembre, la produzione industriale del – 0.1% sl mese precedente rispetto ad una stima del -0.4% e del -0.7% su anno (-0.3% stima).
AUSTRIA: anche il piccolo Paese alpino sempre più verso la deflazione. Prezzi all’ingrosso a gennaio -1,9% sul mese (-2,1% a dicembre), –6.3% su base annua, rispetto al -4.5% del mese precedente.
FRANCIA: ottavo mese di crescita per l’indice degli acquisti mnifatturiero, ma sempre sotto la soglia dei 50 punti, spartiacque tra recesionee ed epsnsione, a 49.2.
Il deficit dei conti pubblici francesi resta molto superiore al limite del 3% del Pil fissato dalle regole del Patto europeo di stabilita’ e tocchera’ nel 2015 il suo picco al 4,3%, scendendo solo marginalmente al 4,1%, nel 2016. E’ quanto prevede la Commissione europea che sottolinea, tuttavia una “significativa” frenata nell’aumento della spesa pubblica, pari a +1,5% nel 2015.
IRLANDA: la banca centrale alza le previsioni di crescita per il 2015 dal +3.4% al +3,7%. Continua a scendere anche a gennaio il tasso di disoccupazione che si attesta al 10,5%, dal record del 14,2% nel 2011.
ITALIA: Pressoché tutti gli italiani, il 96%, ritengono che il Paese si trovi ancora in una fase di recessione conclamata. E come dare loro torto? Il Pil non cresce da più di dieci anni, il mercato del lavoro è in uno stato disastroso, le tasse sono salite ma non il potere d’acquisto, che non segue il passo dell’inflazione. Ora che i prezzi al consumo sono molto bassi, non ci sono però i soldi e il coraggio di consumare.
Passiamo ora alle notizie più confortanti. L’anno nuovo si apre con un rallentamento nel tasso di contrazione del settore manifatturiero italiano, il cui indice resta in territorio frazionalmente negativo ma si avvicina significativamente al discrimine dei 50 punti, attestandosi sui massimi degli ultimi quattro mesi. Lo dice l’indagine mensile congiunturale sui direttori acquisto di categoria elaborato da Markit e Adaci, che mostra un indice generale a 49.9, un punto e mezzo oltre il 48.4 – minimo degli ultimi diciannove mesi – toccato a dicembre. Il risultato supera inoltre ampiamente la mediana delle 15 stime raccolte da Reuters, che ipotizzavano una lettura pari a 48,8.
Secondo i dati provvisori di Istat, a gennaio, l’indice dei prezzi al consumo è calato dello 0,4% su base congiunturale e dello 0,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Istat sottolinea che il dato tendenziale di gennaio è il più basso dal settembre 1959, quando si registrò -1,1%.
Le attese, elaborate in un sondaggio Reuters, indicavano un calo su anno del -0,3%, mentre l’inflazione acquisita per il 2015 è pari a -0,6%.
Migliora il fabbisogno statale a gennaio in avanzo di +3,4 mld, rispetto al disavanzo di -566 milioni dello scorso anno.
Secondo i dati del ministero dei Trasporti, le immatricolazioni di auto nuove a gennaio sono aumentate del 10,91% su anno, a 131.385 veicoli. Si trata della prima vera inversione di tendenza degli ultimi sei anni per un settore che ha perso nel periodo il 45% delle vendite.
SPAGNA: la bilancia dei pagamenti torna in deficit a novembre 2014 di €3.65 miliardi, rispetto ad un surplus di €12.3 miliardi dello stesso periodo 2013. La produzione industriale a dicembre scende del -0,9% anno su anno, rispetto al +0,3% previsto.
Il numero dei cittadini spagnoli iscritti nelle liste di disoccupazione mostra a gennaio un incremento di 1,75% su base mensile, 77.980 unità in più rispetto a dicembre. Lo dicono i dati a cura del ministero del Lavoro, da cui emerge il primo aumento da ottobre e la particolare debolezza del comparto servizi dopo il periodo natalizio. Nel confronto annuo, il numero dei disoccupati evidenzia comunque una flessione di -288.744 unità rispetto a gennaio 2014.
GRECIA: i grafici sottostanti mostrano la fragilità della ripresa ellenica, già messa in discussione dalle scelte politiche del nuovo governo che, almeno nel breve periodo, hanno ridotto la fiducia verso il Paese.
Il Paese ha un fabbisogno finanziario di 30-35 miliardi di euro nei prossimi cinue anni. Tale cifra salirà a 60, qualora rimanga lo stop alle privatizzazioni, imposto dal nuovo governo, e l’avanzo primario scenda all’1-1,5% del Pil, rispetto al 4,5% richiesto dalla Troika, come conseguenze delle politiche sociali applicate.
La crescita per il 2015 è stata rivista al ribasso al +2,5% dal +2,9%, mentre nel 2014 ha raggiunto l’1%, oltre le previsioni del +0,6%.
Il rendimento dei titoli governativi è sempre a livelli molto elevati. Il cinque anni al 13,77% nell’ultima seduta, dal 9,02% del 23 gennaio…!
EUROPA (extra Euro)
CROAZIA: il governo ha disposto un piano per eliminare i debiti dei 60.000 cittadini più poveri. Si tratta solo dell’1% dell’intero debito privato con il quale, tuttavia, si spera di dare una spinta all’economia. Per far parte del programma i cittadini non devono avere né proprietà, né risparmi ed un debito non superiore ai $5,100 ed essere a carico dell’assistenza pubblica con un reddito inferiore ai $138 al mese.
Questa misura dovrebbe permettere di cancellare circa $31 millioni di debito grazie all’accordo tra creditori (banche, compagnie telefoniche, municipalità, altre utilities e agenzie di riscossioni delle imposte) e governo. Nessuno verrà rimborsato per le perdite e non ci saranno costi aggiuntivi per il cittadino. Il Paese ha una popolazione di 4,4 milioni di abitanti.
NORD AMERICA
CANADA: l’indice degli acquisti manifatturieri crolla a gennaio a 45.4, rispetto ad una stima di 53.4 ed al precedente di 55.4. Nello stesso mese, sono stati creati 35k posti di lavoro part-time ed il tasso di disoccupazione è sceso al 6,6%.
USA: +257k nuovi occupati a dicembre, ben oltre le stime previste di +225k. Anche i dati di dicembre e novembre sono stati ampiamente rivisti al rialzo. Tuttavia non è tutto oro ciò che luccica ed il tasso di disoccupazione sale dal 5,6% al 5,7%, a causa del’incremento della forza lavoro che passa dal 62,7% (minimo dal 1978) al 62,9%. Significa che appena l’offerta di lavoro cresce, anche i più scettici ritornano ad iscriversi nelle liste di disoccupazione e riprendono a cercare un impiego. Mancano ancora 2,9 milioni di posti di lavoro, rispetto al 2008. Infine il tasso di disoccupazione reale, U6, che comprende anche gli occupati part-time ed i sottoccupati (coloro i quali lavorano solo poche ore al mese), continua a scendere ma è ancora superiore al 10% (11,3%).
Secondo le statistiche dell’Ufficio del Lavoro anche colui che lavora un’ora in un mese è infatti considerato occupato…..!!
L’indice ISM manifatturiero è sceso a gennaio, rispetto a dicembre, da 55,1 a 53,5 punti. Si tratta del più basso livello da un anno. Gli economisti avevano previsto un calo a 54,7 punti.
Le società americane stanno infatti riducendo gli investimenti domestici. La ripresa dei consumi è favorita dall’abbassamento dei tassi di interesse e non dall’incremento degli stipendi della classe media.
L’economia maggiore al mondo è vulnerabile a un’inversione del ciclo dei tassi di interesse. Gran parte degli americani ha ancora una fiducia ridotta nella solidità della ripresa.
Con i tassi sui mutui a 30 anni che sono a disposizione sul mercato a meno del 3%, è impressionante quanto sia modesto il numero di americani che compra casa. È difficile pensare che il trend migliorerà dopo che Janet Yellen e i colleghi del braccio monetario della Federal Reserve decideranno di imporre una stretta monetaria. Un evento che il mercato stima si materializzerà solo da metà anno.
La percentuale dei proprietati immobiliari è scesa al 63.9% nel quarto trimestre, rispetto al 64.3 del terzo ed al 65.1 di un anno fa (Q4 2013).
I consumi privati scendono al livello più basso dal settembre 2009 a dicembre (-0,3% su novembre), mentre i salari registrano l’incremento più modesto in sette mesi.
Infine, la produttività del settore non manifatturiero scende del -1.80% nel quarto trimestre rispetto al +0.20% previsto e rispetto al +3.70% precedente, mentre i costi del lavoro salgono del +2.70% (stima +1.20%; precedente -2.30%).
TRIMESTRALI USA: Non deludono i social network (LInkedin e Twitter), ma in generale le trimestrali evidenziano una decisa contrazione dei fatturati, a causa anche della forza del dollaro.
RadioShack ha dichiarato bancarotta. Fondata nel 1921 la catena di negozi per l’elettronica di consumo soffriva da anni la forte pressione da parte delle più grandi rivali e della concorrenza online. Prima di ricorrere alla protezione del Chapter 11 del diritto fallimentare statunitense, RadioShack ha raggiunto un accordo per cedere a Standard General tra 1.500 e 2.400 filiali. L’hedge fund, che lo scorso anno aveva concesso un prestito per salvare RadioShack, gestirà fino a 1.750 filiali con l’operatore di telefonia mobile Sprint. Le rimanenti 2.000 delle 4.000 filiali di RadioShack verranno chiuse, già dalla prossima settimana.
ASIA
GIAPPONE: il rendimento del tasso decennale vola allo 0,39%. Una inezia, ma il doppio in solo sette sedute rispetto allo 0,19% precedente. La Banca Centrale ha ormai comprato il 90% del titolo decennale e pertanto il mercato è così poco liquido che è esposto ad ampie oscillazioni di prezzo, o forse, invece, la Banca Centrale sta perdendo il controllo della situazione ? Ricordiamoci che, qualora il rendimento ritornasse solo all’1%, il debito pubblico diventerebbe improvvisamente insostenibile.
CINA: l’indice PMI del settore manifatturiero è sceso a gennaio a 49.8. Una brutta conferma che si aggiunge a quello preliminare pubblicato dalla banca inglese HSBC che si attestava a 49.7. E’ la prima volta che l’indice scende sotta la soglia dei 50 dal settembre 2012. Ancora più preocupante è che quasi tutte le componenti dell’indice mostrano un rallentamento generalizzato dell’attività economica, dai prezzi delle materie prime ai nuovi ordini.
Pochi margini di manovra per Pechino, visto che le entrate fiscali sono previste in aumento solo del +1% nel 2015, un livello di crescita modesto per l’economia cinese. Il Governo farà ancora affidamento sulla leva monetaria, anche se ormai spuntata. La liquidità non manca, infatti, ma è male allocata (vedi bolla azionaria).
La Banca Centrale ha ridotto la riserva obbligatoria delle banche di mezzo punto, una mossa non più applicata da metà 2012. Si stima che il provvedimento possa liberare $100 miliardi di nuovi prestiti bancari e stimolare la crescita o allargare la già inflazionata bolla creditizia.
MATERIE PRIME: petrolio finalmente in rialzo, con il balzo settimanale più significativo dal 1998. Continua, invece, il calo del ferro sui mercati cinesi che raggiunge i $60 dai $200 di solo due anni fa.
BANCHE: per gli istituti creditizi ellenici l’emorragia si fa sempre più grave: solo a gennaio si stima siano scappati dai conti correnti ben 10-12 miliardi di euro. Questo significa che dai massimi toccati nel 2010 le banche hanno perso 88 miliardi di depositi in totale: erano 244 prima della crisi, sono arrivati a 168 miliardi a dicembre 2014 (ultimo dato ufficiale) e ora potrebbero essere diminuiti di altri 10-12 miliardi. Il “bank run” è ormai silente da mesi, ma potrebbe accelerare se Atene non trovasse l’accordo con l’Europa, in tempi ormai molto stretti.
VALUTE: l’euro ha tentato di rimbalzare a metà settimana contro il dollaro fino ad oltre 1.15, ma poi è stato ricacciato ad 1.13 dalle notizie negative sulla crisi greca e dal dato favorevole sull’occupazione americana a gennaio. Il biglietto verde ha, infatti, messo sotto pressione molte valute emergenti, già da mesi in difficoltà ed in particolare la lira turca.
Anche il dollaro australiano scende ai minimi da maggio 2009, rispetto al Dollaro USA a 0.7650
SINTESI: 15 Paesi hanno già tagliato i tassi di interesse da inizio anno: Singapore, Europa, Svizzera, Danimarca, Canada, India, Turchia, Egitto, Romania, Peru, Albania, Uzbekistan, Pakistan, Russia e Australia. Non possiamo pertsnto affermare che l’economia mondiale sia in buona salute.
Tuttavia, da marzo 2009 a giugno 2014, lo S&P 500 è salito in media del +4.7% a trimestre, circa cinque volte rispetto alla crescita del Pil statunitense. Si tratta della più grande differenza dal 1947 e conferma lo scollamento tra finanza ed economia reale.
Quando il mercato azionario continua a salire dobbiamo chiederci da dove arrivi questa liquidità. Semplice, dai programma di “quantitative easing” messi in pista dalle Banche Centrali.
Le vere previsioni e non quelle campate in aria dalle Banche Centrali e dai sovraorganismi internazionali, anch’essi burattini del mondo finanziario, evidenziano che il mondo produrrà $ 2,37 trilioni in meno nel 2015, il 3,2% del prodotto mondiale. E’ come se le economie del Brasile e della Gran Bretagna scomparissero improvvisamente.
La Grecia non fa paura ai mercati, ma sempre più all’economia reale. Anche il nuovo governo ha confermato che il debito è insostenibile. L’Europa fa, invece, orecchio da mercante, ma rischia di rimanere con il cerino in mano, quanto prima.