Se le banche centrali meritassero ancora un barlume di credibilità, l’hanno persa del tutto in questa settimana nella audizione della Yellen di lunedì 31 marzo, ma soprattutto nella riunione odierna della Bce e nella successiva conferenza stampa del suo capitano, Mario Draghi.
Partiamo da quest’ultima, in quanto la più clamorosa e inoltre perché ci riguarda più direttamente, poiché include le sorti anche della nostra malridotta economia.
Come nelle aspettative, ma lasciando a bocca asciutta i più ottimisti, la BCE ha lasciato i tassi invariati. Draghi ha poi affermato che la deflazione è sotto controllo e che l’inaspettata discesa a marzo del tasso di inflazione al +0,5% dal +0,7% di febbraio è imputabile al calo dei prezzi di energia ed alimentari. Aggiungo che mi lascia perplesso il secondo rilevamento, visto che le principali materie prime alimentari sono cresciute tra il +15 ed il +25% da inizio anno. Infine, sorprendentemente, ha aggiunto che il dato è inoltre inficiato dalla scadenza della Pasqua che quest’anno cade ad Aprile, rispetto a Marzo lo scorso anno. Osservazione sicuramente ineccepibile, ma accettabile da uno scolaro delle elementari.
Draghi ha poi rimarcato che i tassi di interesse rimarranno bassi per un periodo illimitato e che nella riunione si è parlato di QE e di utilizzo di politiche non convenzionali, qualora necessarie. Musica per le orecchie dei mercati azionari, scattati verso nuovi massimi, e anche per gli spread, schiacciati verso nuovi minimi di periodo. Il Governatore europeo sostiene inoltre che la banca centrale non ha perso credibilità nella guida strategica di politica economica. In realtà, già il fatto di doverlo smentire rappresenta una evidente conferma. Infine ha parlato anche del cambio, sostenendo che l’obiettivo è monitorato e mi sorprenderebbe il contrario. La sintesi finale è che Francoforte sembra in gran confusione ed è sotto grande pressione dell’opinione pubblica, tanto da inventarsi qualcosa di straordinario (QE o tassi negativi) per combattere il rischio di deflazione.
Stesso disco, ma forse ancora peggio, negli Stati Uniti. Mentre in Europa i membri della BCE parlano molto meno e sono comunque in linea con la direzione centrale, negli USA invece, sono già in una situazione di tutti contro tutti, nella quale quanto dichiarato dal Governatore viene tranquillamente smentito, anche dopo poche ore, da un altro membro della Fed. Nessuna sorpresa. Almeno da maggio scorso la confusione è totale, da quando l’ex chairman Bernanke dichiarò l’inizio del tapering, salvo poi smentirlo a settembre e poi attuarlo sorprendentemente a dicembre. Anche la Yellen ha già cambiato idea. Lunedì 31 ha affermato che la ripresa americana è ancora molto debole e che necessiterà di stimoli particolari ancora per un lungo periodo. I mercati hanno festeggiato e tra mercoledì e giovedì hanno recuperato il mini-storno di due punti percentuali della scorsa settimana, portando l’indice a nuovi massimi storici. Tutto questo in completo contrasto con quanto detto dieci giorni prima, quando aveva sostenuto che il QE andava scemando e che i suoi effetti erano abbastanza controversi, in quanto segnali di bolle in alcuni “assets” erano abbastanza evidenti.
Quanto detto conferma la totale confusione delle due principali banche centrali al mondo. L’unico obiettivo vero e non dichiarato è quello di inondare di liquidità i mercati per sostenere quotazioni elevate nei mercati azionari e rendimenti ai minimi, nella speranza che la finanza creativa faccia dimenticare i problemi irrisolti dell’economia reale. Nulla di nuovo, ma solo la conferma che ci si è spinti già troppo oltre il baratro e che ormai ci hanno fatto cadere nel dirupo.
Anche in Oriente il “leit-motiv” è sempre uguale. In Giappone sì è ripreso a stampare denaro dopo il fallimento di 20 anni di tali politiche monetarie. Indice azionario +99% nel 2013 e svalutazione dello Yen del 30% medio sulle principali valute non hanno cambiato il quadro economico di stagflazione: crescita modesta con deflazione o bassa inflazione. La realtà è che il Giappone, come del resto gli Stati Uniti, stampano denaro più per monetizzare il debito che per stimolare l’economia. Il debito continua a crescere ed è difficile trovare nuovi acquirenti per uno Stato sempre più indebitato. Il rimbalzo dell’economia nipponica sembra già arrivato al capolinea. Ora aspettiamo di vedere gli effetti negativi del rialzo dell’IVA, dal 5% all’8%, introdotta il primo di aprile sui consumi. Si tratta del primo incremento in venti anni.
Infine la Cina, dove lo stimolo è stato più simile a quello europeo che a quello nippo-americano, vale a dire si è prestato denaro alle banche per finanziare l’espansione economica. In Europa non ha funzionato, in quanto gli Istituti di Credito hanno preferito, o sono stati obbligati, a comprare titoli di stato dei loro rispettivi Paesi emittenti per sostenerne le quotazioni.
Anche in questa settimana, dopo i default di qualche società sulle rispettive obbligazioni emesse o nella restituzione di prestiti in scadenza, il Governo cinese ha deciso un extra stimolo: un ennesimo rilancio delle infrastrutture con la costruzione di ferrovie in zone remote del Paese ed uno sgravio fiscale per le piccole imprese. Si tratta di palliativi, che comunque piacciono ai mercati che adorano la parola stimolo, senza comprendere che ormai, dopo oltre cinque anni, è completamente inefficace sulla crescita economica. Ben diversa è la valenza finanziaria: la liquidità scorre a rivoli sui mercati, in “party” infinito, il cui esito tragico è ovviamente segnato. La storia si ripete e chi pensa che questa volta sia diverso, commette un errore fatale. Tutte le bolle scoppiano prima o poi, è solo questione di tempo, anche con la più grave complicità delle banche centrali, perché tutto quello che sale così veloce è destinato a cadere rovinosamente.