Il nuovo record del listino tecnologico realizzato la scorsa settimana non ha sorpreso molti addetti ai lavori, malgrado esso sia arrivato dopo una correzione dell’indice di quasi il dieci per cento di inizio febbraio.
La velocità di recupero del Nasdaq è stata, tuttavia, abbastanza stupefacente per diversi motivi.
Il listino è stato l’unico tra i quattro principali a bruciare un nuovo record storico. In aggiunta, la sua capitalizzazione, in percentuale rispetto al Pil statunitense, ha superato quella della bolla delle dot.com di inizio secolo passando dal 35,6% del 2000 al 42,7% di oggi.
La tenuta del listino è avvalorata dalla scarsa partecipazione dei titoli al rialzo. Amazon ed Apple, da sole, hanno contribuito al 50% di questa salita, da inizio anno, mentre solo il 15% dei titoli ha registrato recentemente i nuovi massimi a 52 settimane.
Tra questi ci sono anche Facebook e Netflix, quest’ultima in ascesa del 65% solo da fine dicembre, ed entrambe con una capitalizzazione di dieci volte le vendite che ricorda quella di Sun Microsystems, società che vendeva mainframe, all’apice della bolla internet di inizio millennio.
Facebook, inoltre, proprio ad inizio settimana ha evidenziato la fragilità di un rialzo così parabolico. La sua caduta del dieci per cento in due sedute, in scia ad uno scandalo di fuoriuscita di dati, ha provocato una discesa del listino tecnologico di quasi tre punti percentuali.
In aggiunta, storicamente quando il Nasdaq sovra performa rispetto allo S&P500 gli EPS evidenziano di avere raggiunto il loro picco, un segnale che il ciclo economico potrebbe iniziare un progressivo rallentamento od anche un veloce declino.
IL SOSTEGNO DEI BUYBACKS
Diversi titoli del listino tecnologico, ormai da diversi anni, hanno raggiunto quotazioni
scollegate dai fondamentali, una situazione simile a quella della bolla internet di inizio secolo. Anche oggi ci sono società che hanno tassi di crescita molto elevati e che bruciano tantissima cassa, quali ad esempio Netflix e Tesla, insieme ad altre ben più piccole e meno note nel settore biotecnologico con bilanci in forte perdita.
Tuttavia, un forte sostegno al mercato giungerà non solo dalla Fed la quale, pur attenuando la sua politica monetaria espansiva, rimane il principale iniettore di liquidità per il mercato azionario, ma in particolare dal fenomeno dei buybacks azionari, che quest’anno potrebbe raggiungere nuovi numeri record, grazie ai più consistenti cash flow aziendali, in seguito alla riforma fiscale approvata a fine anno.
Con l’abbattimento dell’aliquota fiscale – il tax rate medio passa dal 35% al 21% circa – le aziende disporranno di maggiore liquidità, che solo in piccola misura investiranno in ricerca e nuovo personale, ma in larga parte nell’ingegneria finanziaria, per far salire il prezzo delle azioni quotate.
In base alle prime stime, i riacquisti di azioni sono stati pari a 530 miliardi di dollari nel 2017 e dovrebbero salire intorno ai 630 con alcune previsioni anche fino a 800 miliardi, secondo un’analisi di J.P. Morgan. Si tratterebbe di una cifra ingente, che farebbe da stampella a tutti i listini statunitensi ed al Nasdaq in particolare.
A fine febbraio, le società quotate hanno già annunciato buybacks per 151 miliardi di dollari, in linea per superare ampiamente il traguardo dello scorso anno.