Con Wall Street chiusa per festeggiare la prima festività a stelle e strisce dell’anno, analisti ed economisti si interrogano ed analizzano la marcia trionfale dei listini americani, che anche nel mese di gennaio hanno continuato la corsa sfrenata, iniziata da inizio ottobre.
La crescita parabolica ha riguardato tutti e tre i principali listini ed in particolare il Nasdaq, che è già salito di quasi cinque punti percentuali nelle prime due settimane dell’anno.
L’unico indice che non ha ancora frantumato i record precedenti è quello delle small cap – il Russell 2000 – che dista due punti percentuali dal massimo dell’estate 2018, penalizzato dalla scarsa liquidità che arriva dai buybacks alle società di piccole dimensioni rispetto alle aziende a più larga capitalizzazione, che hanno anche un accesso facilitato al credito.
LA RESPONSABILITA’ DELLA FED
La Banca Centrale statunitense è la principale responsabile di questo ulteriore rialzo del mercato azionario domestico: l’indice S&P500 si attesta oltre 13 punti percentuali al di sopra della media mobile a 200 giorni, un evento che era accaduto solo durante la bolla delle dot.com nell’anno 2000, ma in misura più contenuta.
Con oltre 100 miliardi di dollari di intervento monetario mensile da parte della Fed, a favore sia delle banche (repo) che degli hedge funds, associato al nuovo quantitativa easing, ribattezzato “not QE”, Wall Street sale per inerzia ormai quotidianamente da oltre tre mesi, inondata da una liquidità inaspettata e che non trova altri sbocchi nell’economia.
L’ESTENSIONE DEL RIALZO
La Fed è intervenuta soprattutto sul mercato interbancario per sopperire alla mancanza di liquidità, che normalmente gli istituti di credito utilizzano tra di loro per finanziarsi.
Un sostegno di simili proporzioni si era già verificato anche a cavallo di fine millennio ed aveva poi generato il crollo del mercato azionario, quando le operazioni di finanziamento si erano poi estinte nel marzo ed aprile successivo.
La situazione attuale è più complicata e l’autorità monetaria ha dovuto estendere le operazioni anche al nuovo anno, affermando che avrebbe ridotto gli importi solo di $5 miliardi per asta, nel tentativo di drenare un po’ di liquidità dal sistema finanziario.
Powell sembra dunque in un vicolo cieco, ma rischia con questa strategia monetaria ultra espansiva di inflazionare ulteriormente la bolla azionaria e di rimanere con le armi spuntate in caso di indebolimento della crescita economica domestica, già modesta pur in presenza di un massiccio stimolo pluriennale sia fiscale che monetario.
La Federal Reserve, al pari delle principali altre Banche Centrali planetarie, si è infilata in un tunnel dal quale è ormai impossibilitata ad uscire, pena il rischio di un crollo degli assets più rischiosi ed in particolare del mercato azionario.
E’ di conseguenza possibile che, malgrado le valutazioni stellari raggiunte, Wall Street continui a macinare nuovi record anche nelle prossime settimane. A pochi punti dalla soglia dei 30.000 punti per il Dow Jones c’è chi prevede già quella dei 40.000, mentre per lo S&P500 quella dei 4.000 e del Nasdaq ben al di sopra dei 10.000 punti, ormai un traguardo a portata di mano.