Oltre 24 anni fa (9 novembre 1989) cadeva il muro di Berlino, simbolo della cortina di ferro dei Paesi del Blocco comunista e di un modello economico teorizzato da Marx a metà del diciannovesimo secolo ed applicato con la rivoluzione bolscevica di Lenin nel 1917 in Russia che estromise il governo autoritario degli zar. La qualità ed il tenore di vita dei sovietici non subirono nei decenni seguenti miglioramenti sostanziali. A Lenin seguii la dittatura di Stalin, una delle più longeve e feroci che la storia registri con la repressione di tutti gli oppositori e la deportazione di 6mln di contadini in Siberia che si opposero alla espropriazione delle proprie terre. Venne poi la seconda guerra mondiale dove l’orgoglio russo si ricompattò per respingere l’invasione nazista che si impose come dominatrice e non come liberatrice apparendo un nemico peggiore rispetto al tiranno domestico.
Stalin riuscì anche ad ottenere, dai due vecchi e malati statisti come Roosevelt e Churchill alla conferenza di Yalta del 1944, quello che voleva. Americani ed inglesi gli concessero una sfera d’influenza politica sull’Europa dell’Est e della penisola balcanica compresa buona parte della Germania e della città di Berlino che diventarono dei veri regimi autoritari controllati da Mosca. Il modello social comunista fu poi esportato anche in alcune economie asiatiche molto popolose quali la Cina, la Penisola Indocinese (Cambogia e Vietnam), in alcuni periodi anche in India ed infine anche nell’isola di Cuba che aprì il periodo di tensione, denominato Guerra Fredda, dal 1960 fino alla caduta del muro tra il blocco capitalista americano e quello comunista sovietico.
L’economia russa però non creava benessere o almeno così pareva mentre quelle occidentali crescevano a ritmi impressionanti trascinate da una forte domanda di beni durevoli (frigoriferi, lavatrici, auto..)
Oggi invece anche l’economia capitalista sembra in forte crisi con un modello che genera sempre meno ricchezza, maggiore povertà ed eccesive diseguaglianze. Tutto è accaduto in poco più di mezzo secolo tra l’ascesa post bellica e la decadenza nel terzo millennio. Ci si chiede pertanto quale modello economico fosse vincente. Probabilmente nessuno dei due vista l’implosione di quasi tutto i regimi comunisti alla fine del secolo scorso e l’attuale implosione del liberismo economico che sembra non avere ancora fine.
Guardando alcuni scritti di Marx e dei suoi seguaci del tempo si può estrapolare la previsione delle difficoltà che il capitalismo avrebbe dovuto affrontare negli anni futuri:
– Un livello di profitti in rallentamento: dopo aver conseguito un picco gli utili tendono a decrescere.
– Sovra produzione o minori consumi, quello che oggi tecnicamente definiamo come deficit della domanda aggregata, il vero problema attuale delle economie liberiste.
– Impoverimento della forza lavoro con una riduzione dello standard di vita (capacità di spesa) che non consente di acquistare tutti i prodotti che il capitalismo produce nonché la forbice che si è creata sempre più evidente tra poveri e ricchi dagli anni ’70 ad oggi.
– La necessità di trovare sempre nuovi mercati di sbocco in una sorta di forzato imperialismo che tuttavia non crea crescita globale. La somma infatti di tutti i commerci mondiali è uguale a zero e quello che un Paese guadagna è a scapito (perdita) di un altro.
– La necessità di spendere denaro in avventure militari. Gli Stati Uniti ma anche i francesi hanno sempre dovuto trovare aree di sfogo dopo la fine della seconda guerra mondiale per scaricare il proprio arsenale militare e poi ricrearlo: Corea, Indocina, Jugoslavia, Iraq ed Afghanistan, Libia sono le campagne militari più note.
– L’industrializzazione richiede un maggior impiego di capitale rispetto al lavoro lasciando ai capitalisti l’onere di consumare quasi interamente quello che producono.: forse in questa sua affermazione prevedeva già i robot e le catene di montaggio.
– Una economia che dipende da continui investimenti per poter crescere. E’ corretto ed inoltre la capacità di investire è sempre più dipendente dal credito, negli Usa ed in Cina.
– Lotta di classe ed estromissione del Capitalismo pacificamente o violentemente.
Ho riportato solo i principali pensieri e quelli che credo più significativi in base alla esperienza del moderno capitalismo e dai quali si intravede già il futuro pensiero Keynesiano. Keynes infatti si può considerare non come un seguace ma un successore di Marx, colui il quale forse inventò il progressismo cercando di salvare il capitalismo e non di distruggerlo. Ma le intenzioni ed i risultati non sempre corrono nella stessa direzione.
Con il passaggio dalla produzione alla domanda aggregata Keynes, a differenzia degli economisti classici, propone l’intervento dello Stato diretto nell’economia soprattutto in periodi di crisi. E’ quanto avvenuto negli Stati Uniti nel 2008-2009 con il salvataggio del settore finanziario prima e automobilistico successivamente da parte di due opposti presidenti, un repubblicano Bush ed un democratico Obama.
Ciò che però più mi impressiona della teoria economica marxista è che pur non avendo idea di come il Marxismo si sarebbe sviluppato (e anche dei disastri economici che sarebbero stati provocati) fu invece in grado di diagnosticare correttamente il Capitalismo oltre cento anni in anticipo sull’esperienza forse già sufficiente della rivoluzione industriale ed un secolo dopo Adam Smith, quest’ultimo considerato a ragion veduta il precursore della economia classica.
Sfortunatamente i marxisti non si accontentarono solo di scrivere le loro teorie ma vollero anche metterle in pratica creando come abbiamo rimarcato delle vere rivoluzioni per verificare dal vivo i loro esperimenti che finirono per essere quasi sempre molto repressivi in quanto non riuscivano pacificamente ad ottenere quanto previsto dalla loro dottrina.
In definitiva dal marxismo al capitalismo passando attraverso il progressismo i problemi di oggi erano già stati identificati da un filosofo economista più di un secolo fa ma sono stati ignorati da tutti i politici mondiali che si sono succeduti in questo secolo.
Anche il capitalismo non è, quindi, la ricetta perfetta. Tuttavia oltre il capitalismo c’è solo il non-capitalismo che crea un ulteriore dilemma: se continuiamo a ristudiare le lezioni del passato è difficile evitare gli errori del presente.
Nella nostra realtà il capitalismo sembra infatti intrappolato, sin dalla metà degli anni ’70, in una crisi perenne, la cui fine non è ancora visibile. La causa di questo fenomeno è probabilmente un eccesso di capitali provocato dalla scarsa propensione al consumo delle masse o dal fatto che il capitale non riesce più a trovare investimenti remunerativi nel settore produttivo (industriale o dei servizi). Il capitale in eccesso ristagna nei mercati monetari creando bolle od è utilizzato per sostenere politiche di forzata accumulazione (QE ??) che dipendono dal debito.