Nell’ultimo decennio le Banchi Centrali mondiali hanno combattuto il rischio di deflazione per evitare che i prezzi al consumo decrescessero nelle principali economie industrializzate al di sotto della soglia tecnica prevista ed auspicata del 2%.
Il mezzo più utilizzato per combattere tale battaglia è stato la riduzione massiccia dei tassi di interesse e successivamente, in quanto insufficiente, associato a politiche monetarie ultra espansive, che hanno iniettato ingente liquidità nel sistema finanziario con l’obiettivo di sostenere il livello dei prezzi e di conseguenza creare nuova inflazione.
L’aumento dei debiti pubblici, in presenza di una crescita non sufficientemente adeguata, ha reso inoltre necessario e strategico che gli stessi fossero inflazionati per mantenere almeno inalterato il rapporto, già elevato, tra debito e Pil.
L’intervento monetario, dallo scoppio della Grande Recessione, ha superato complessivamente i 13 trilioni di dollari tra Fed, Bce, Banca d’Inghilterra e del Giappone.
Il risultato di questa enorme creazione di liquidita è stato invece ben diverso rispetto alle aspettative: le economie sono cresciute a tassi piuttosto modesti e senza riuscire a decurtare i pesanti debiti pubblici, mentre la liquidità è confluita quasi esclusivamente nel sistema finanziario, ripartita tra azioni, obbligazioni e settore immobiliare e solo in misura marginale, ma non incisiva verso l’economia reale.
Indirizzare correttamente il flusso di denaro, peraltro così cospicuo, anche da parte di una Banca Centrale non è, tuttavia, così semplice, in quanto il sistema finanziario raramente riesce a trasferirla velocemente nell’economia reale e questa è la principale conseguenza della scarsa inflazione indotta dalle manovre monetarie dell’ultimo decennio.
DOVE FINISCE IL DENARO
Sin dall’inizio della crisi del 2008, abbiamo assistito ad una ingente produzione di nuovo denaro che, inaspettatamente, non si è trasferita in un aumento dell’inflazione. Al contrario, i prezzi di molti beni di consumo, principalmente generi alimentari ed abbigliamento, risultano in calo, mentre sia le quotazioni dei titoli azionari, obbligazionari che quelle immobiliari in diversi Paesi sono cresciuti ben al di sopra sia del tasso di inflazione che del Pil.
Tuttavia, l’incremento dei prezzi degli assets finanziari non rientra nel calcolo dei panieri che misurano l’inflazione, in quanto non acquistati dalla stragrande maggioranza della popolazione, sebbene abbiano un incidenza percentuale molto rilevante.
In generale, le variazioni dei prezzi al rialzo sono definite come inflazione e quelle al ribasso deflazione, o meglio disinflazione, quando i prezzi decrescono, ma rimangano ancora in lieve crescita in valore assoluto: la situazione attualmente più evidente in diverse nazioni.
Con grossa sorpresa, sia delle Banche Centrali che dei principali economisti, l’effetto della massa di denaro stampato dalle autorità monetarie si è imbottigliato negli assets finanziari e non è tracimato nell’economia reale se non per alcuni piccoli canali che, tuttavia, alimentano di riflesso le bolle finanziarie, come ad esempio i bassi tassi di interesse sui mutui i quali, a loro volta, hanno inflazionato le quotazioni di molti mercati immobiliari mondiali.
Anche nel settore industriale, l’allentamento monetario è stato principalmente utilizzato per ristrutturare i debiti e solo in misura marginale per effettuare nuovi investimenti. Negli Stati Uniti, in particolare, il tasso di disoccupazione è sceso sensibilmente dal 10% di inizio crisi al 3,7% attuale. Tuttavia, a tale decremento non si è associato la crescita dei redditi e la spesa degli americani si è mantenuta costante, pari a quasi il 70% del Pil interno, solo in virtù di un incremento dell’indebitamento privato.
Gli Stati Uniti rimangono uno dei pochi Paesi sviluppati nel quale attualmente il tasso di inflazione eccede di poco la soglia del due per cento.
Il nuovo round di manovre monetarie, tra riduzione dei tassi e nuovi Quantitative Easing, previsto nei prossimi mesi tra BCE e FED, tenterà di aumentare il livello di inflazione sia negli Stati Uniti che in Europa (area UE) con il rischio di un’ulteriore dilatazione degli assets finanziari, che continuano a veleggiare vicino ai massimi storici, malgrado le evidenze dell’attuale (Europa) e probabile (USA) rallentamento economico.
In sostanza possiamo concludere che esistono due tipi di inflazione: quella che abbiamo sempre conosciuto con la crescita dei prezzi al consumo e quella finanziaria, molto più recente.
La prima tende a decrescere e per combattere questo fenomeno si è invece ingigantito la seconda, con il rischio che un suo eventuale ridimensionamento ricada sull’economia reale.
Le Banche Centrali sono responsabili e coscienti di questo rischio e lavorano con mille difficoltà per mantenere il sistema in equilibrio, tra crescita, inflazione reale e finanziaria, ma ogni loro passo sarà attentamente valutato dai mercati, che temono che gli effetti positivi sulla crescita economica di nuove manovre monetarie espansive possano essere ormai trascurabili.