La Grecia sembrava il principale tormentone della prossima estate e l’elemento destabilizzatore delle vacanze tranquille di milioni di investitori dopo sei anni di impensabili rialzi.
Malgrado la situazione nel Paese mediterraneo continui a deteriorarsi a causa del controllo di capitali imposto dal 29 giugno, lo spauracchio ellenico sembra per ora completamente dimenticato. Non bastano i dati macroeconomici che emergono da Atene e le previsioni disastrose sulla crescita e sulla disoccupazione nel secondo semestre 2015 e nel 2016 per spaventare ancora i mercati che sembrano ormai giustificare, nella folle valutazione, qualsiasi incertezza politico-economica.
Tuttavia, l’inizio della settimana non è stato dei più floridi sui mercati azionari europei e statunitensi. Ecco in sintesi quali saranno le gravi minace che potrebbero destabilizzare l’equilibrio pericolante dei mercati azionari mondiali, visto che ormai nessuno più crede alla ventilata minaccia del rialzo dei tassi americani, perennemente rinviata.
1) CINA
2) COMMODITIES (Materie prime)
3) CURRENCIES (VALUTE)
CINA
Crolla la Borsa di Shanghai lunedì 27. Nella sola ultima ora di contrattazione l’indice si inabissa oltre il -8%, il peggior ribasso intraday di sempre, molto vicino a quello del famoso febbraio 2008. La bolla azionaria cinese è esplosa fragorosamente a metà giugno dopo che l’indice era salito del +160% in 11 mesi, spinto dagli investitori privati in fuga dal mercato immobiliare, le cui quotazioni arretrano, ed alimentato dal Governo che sperava in un effetto ricchezza che si potesse riflettere su un aumento dei consumi domestici, vero tallone d’Achille dell’economia asiatica. Nella settimana appena terminata, l’indice ha perso il -9% ed il -14% nel mese di luglio, un record negativo per il mercato cinese.
Purtroppo, il 90% di coloro che comprano azioni sul mercato cinese sono investitori privati, spesso neofiti, i quali hanno inizialmente pensato che guadagnare in Borsa fosse realmente elementare, visto che il mercato saliva incessantemente da diverse settimane. La realtà è spesso diversa dai sogni e molti risparmiatori hanno già bruciato gran parte dei loro risparmi. L’indice di Shanghai è già sceso dai massimi di 5.150 fino agli odierni 3.650, nonostante tutti gli interventi di manipolazione adottati dalle autorità monetarie e governative: divieto delle vendite allo scoperto, sospensione di una elevata percentuale (dal 20 al 40%) dei titoli quotati, pesanti acquisti da parte dei fondi governativi per sostenere le quotazioni. Tutto per ora invano. Dopo una stabilizzazione di tre settimane, il mercato ha ripreso a crollare appena i privati hanno potuto liberarsi dei titoli, quando i prezzi si avvicinavano a quelli di acquisto.
Il malessere della Cina viene, tuttavia, da lontano ed è la sintesi di trent’anni di sovra capacità produttiva alimentata dal credito eccessivo e spregiudicato che ha raggiunto dei livelli ben superiori a quelli dei cugini americani. Come dire che l’allievo ha superato il maestro, ma di gran lunga e l’effetto boomerang sarà un vero tsunami.
Un unico numero oltre a quelli già snocciolati in precedenti articoli sui mesi scorsi. L’aumento dei crediti a favore di aziende e privati è stato esponenziale e nel quadriennio 2009-2013 è passato da $11 a $25 trilioni. In confronto, gli americani, “addicted” (schiavi) al debito dagli anni 80, impallidiscono come veri dilettanti.
Dopo aver utilizzato il credito per comprare (case, auto, e beni di consumo) e costruire qualsiasi infrastruttura (alta velocità, aeroporti, ponti, porti, autostrade, etc..) anche in angoli remoti del Paese, il gigante dai piedi di argilla sta crollando. Il tanto sperato “soft landing” (atterraggio morbido) è ormai un’ utopia, mentre bisognerà solo verificare l’intensità dell’hard o crash landing. La sensazione prevalente è che sia il governo che la Banca Centrale abbiano già perso il controllo della situazione e che la Cina sperimenterà presto una forte battuta d’arresto della sua mirabolante crescita economica. La domanda di consumi è in forte rallentamento, dalle auto, al settore immobiliare e tutto questo ha già provocato lo scoppio di un’altra bolla pluriennale, quella delle materie prime.
MATERIE PRIME
Non siamo ancora arrivati al crollo del 2008-09 della Grande Recessione, ma poco ci manca. Rame, petrolio e ferro hanno avuto cali superiori al 50%, solo negli ultimi 12 mesi, ai quali si associano anche i metalli preziosi: oro ed argento. L’indice delle materie prime è in discesa dalla metà del 2011, ma dal secondo semestre 2014 il calo si è molto accentuato. Prima il petrolio con un calo del 60% dai massimi di luglio, poi il rame che ha, invece, rivisto i minimi di giugno 2009.
Da questo crollo non si sfilano le materie prime agricole anch’esse in forte correzione dopo un boom senza senso negli scorsi anni. Grano e mais continuano a scendere, malgrado diverse aree del pianeta siano colpite da gravissime siccità in particolare nel Nord (California e parte del Canada) e Sud America (Brasile e Cile). L’unica materia prima in lieve controtendenza rimane il cacao per la scarsità di offerta rispetta all’aumento della domanda mondiale.
Il ribasso non è sicuramente finito, mentre i danni indiretti provocati da questi crolli dei prezzi sono già iniziati e destinati a provocare nuovi sconquassi nell’universo finanziario manipolato dalle Banche Centrali. I Paesi produttori di materie prime stanno soffrendo e le loro valute, come vedremo, stanno precipitando. Non si salva nessuno: dal Canada all’Australia, alla Russia, Messico, Argentina, Brasile, Indonesia, Tailandia, fino in Africa (Nigeria e Sud Africa).
VALUTE (DOLLARO)
Le valute sono entrate in un circolo vizioso di deprezzamento, alimentato prima dalla Fed, che per anni ha svalutato il dollaro per alimentare la ripresa americana e, successivamente, seguito da Inghilterra, Giappone ed infine dalla Bce e l’euro, da inizio anno. Una folle corsa al ribasso che ha rivalutato il dollaro ed iniziato ad indebolire le valute dei Paesi emergenti, poi affossate dal crollo delle materie prime appena descritto. Peso messicano, rand sudafricano, real brasiliano, peso argentino, bolivar venezuelano e lira turca hanno continuato a registrare nuovi minimi storici anche questa settimana verso il biglietto verde.
Per alcuni di queste divise si tratta di una vera “débacle” come quella della valuta messicana che solo a luglio ha registrato otto nuovi minimi, un record assoluto.
Solo a posteriori veniamo, a conoscenza dell’entità degli interventi delle Banche Centrali nel tentativo di stemperare il deprezzamento. Il Messico ha ridotto le proprie riserve valutarie a livelli dello scorso ottobre inutilmente in quanto il peso è crollato da 14 a 16,25 da inizio anno. Tutte queste valute hanno in media perso il -20% da inizio anno, o negli ultimi 12 mesi. Comprando altri dollari, le rispettive Banche Centrali nazionali non fanno altro che aggravare il problema depauperando le riserve valutarie.
La debolezza del cambio aiuta solo le esportazioni, ma solo temporaneamente ed in periodi economici di forte espansione. Diversamente, i costi delle importazioni schizzano e si rischia l’iperinflazione come già avviene in Venezuela ed in Messico, fenomeno che si espanderà presto anche agli altri Paesi indicati.
IN SINTESI
Mentre il Pil della Grecia incide sull’economia europea per l’1,8% e lo 0,2% su quella mondiale, l’economia cinese ha ormai superato il 15% dell’output complessivo e una sua veloce implosione porterebbe ad un rischio sistemico, tale quello americano del 2008, anche a causa della gigantesca bolla finanziaria creata e che la Banca Centrale ed il governo stanno dimostrando di non riuscire a gestire.
Ogni crollo delle materie prime, delle dimensioni di quello attuale, è stato sempre seguito nei mesi successivi da una pesante recessione mondiale.
In passato, la forza del dollaro ha provocato sempre gravi crisi alle economie emergenti. Ricordiamoci la più famosa: la crisi asiatica del 1997 quando le valute del Far East cominciarono rapidamente a svalutarsi, provocando significativi disavanzi nelle rispettive bilance dei pagamenti. Le economi, troppo indebitate, generarono un collasso dei sistemi bancari in diversi Paesi (Tailandia, Corea e Malaysia) con l’avvento di una durissima recessione.
Ora forse, in generale, la situazione complessiva è ben peggiore, in quanto le economie arrancano ed hanno aggiunto diversi trilioni di debiti ($55 solo dal fallimento di Lehman Brother) ai loro bilanci, pubblici o privati, già disastrati.
Ci hanno, tuttavia, illuso che questa volta sia diverso, in quanto il denaro è diventato una commodity che non costa nulla a causa del persistere della politica monetaria ultra espansiva, che mantiene i tassi di interesse a zero. Questa è stata una leva devastante che ha provocato più danni che benefici ed ha spinto centinaia di milioni di investitori ad assumere rischi sempre più elevati.
I risultati di questa politica suicida sono evidenti e ora ne pagheremo il conto, ma non sappiamo ancora quando e quanto.
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