Thursday 21st November 2024,
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LA DISCESA DEI TITOLI BANCARI – LE ANALOGIE CON IL 2008

La discesa dei titoli bancari – Le analogie con il 2008

I listini azionari sono di nuovo sotto pressione, ma l’indice del settore finanziario sta scendendo sensibilmente e questo rievoca quanto avvenne precedentemente alla Grande Recessione.

In quel contesto, diversi titoli bancari precipitarono o addirittura si azzerarono, come nel caso dei fallimenti di Bearn Sterns o Lehman Brothers.

L’effetto domino fu devastante e tutto il sistema finanziario andò sotto forte pressione, in crisi di liquidità e di solvibilità, e dovette essere salvato con denaro pubblico, prima negli Stati Uniti e successivamente anche in Europa,  per evitare il rischio di un collasso sistemico.

La salute del sistema bancario rimane, di conseguenza, vitale per assicurare il regolare sviluppo del ciclo di vita economico. Quando il flusso di denaro rallenta o si arresta, inizia il “credit crunch” e le conseguenze possono anche essere drammatiche come nel 2008.

 

L’INDICE DEL SETTORE FINANZIARIO

A livello sistemico l’indice è cresciuto significativamente dopo la vittoria di Trump nel 2016, ma ora sembra in caduta libera.

Attualmente è in calo del 27% rispetto ai massimi assoluti del 29 gennaio e ciò lo pone già in un mercato orso.

L’indice americano non si trova ancora in questa situazione, avendo lasciato sul terreno solamente il 17%, ma ci si sta avvicinando.

Ben peggiore è, al contrario, la condizione di quello europeo, in calo del 27% rispetto al record storico e del 23% nei confronti dello scorso anno.

La speranza di ridurre la dimensione di ogni singola banca in modo che nessuna fosse “too big to fail” è un obiettivo ancora irrealizzato. Se le banche non sono sane, il sistema rischia di tornare sotto pressione, come avvenne nel 2008.

Tuttavia, a differenza del 2008, questa volta incombe anche la guerra commerciale, che comincia ad avere un impatto in termini di maggiori costi di approvvigionamento in particolare sulle piccole aziende.

Alcune materie prime oggetto dei dazi hanno avuto incrementi di prezzo significativi, quali l’alluminio e l’acciaio, per i quali i produttori americani non sono ancora in grado di aumentare in tempi rapidi la produzione, sostituendola a quella cinese od europea.

Le conseguenze negative dell’escalation di questa guerra commerciale appaiono in crescita, tanto più questo fenomeno sarà duraturo nel tempo, come sembra al momento.

Secondo la rivista “The Trade Partnership”, le tariffe pagate dalle aziende americane sono cresciute in media del 45% sull’anno precedente, vale a dire di incrementali 1,4 miliardi di dollari, rispetto ai primi otto mesi del 2017. La percentuale di aumento varia da stato a stato, in alcuno dei quali i prezzi sono anche triplicati, limitatamente ad alcuni specifici prodotti.

Questi incrementi così elevati danneggiano l’intera economia, ma in particolare le piccole imprese, che faticano a trasferire l’aumento dei costi sui prodotti venduti, visto l’alto tasso di concorrenza.

Infine, il peso della crescita delle tariffe si trasferisce anche sui consumatori finali ed incide sulla loro propensione al consumo, molto elevata negli Stati Uniti.

 

L’IMPATTO SU WALL STREET 

L’economia globale sta rallentando al vertice di un ciclo economico positivo ormai decennale, agevolato anche dalle manovre monetarie ultra espansive delle Banche Centrali mondiali.

La correzione, già significativa, del settore bancario è un segnale evidente che i mercati finanziari abbiano già anticipato questa prossima frenata dell’economia reale piuttosto che di un malessere più preoccupante all’interno del settore stesso.

In realtà, la crescita del ciclo economico mal si concilia con la necessità delle Banche Centrali di “normalizzare” la politica dei tassi di interesse, riducendo la copiosa liquidità del sistema finanziario.

La Federal Reserve ha portato i tassi al 2,25% prendendosi un po’ di respiro nel caso si avvicinasse una nuova recessione.

Molto più in affanno, al contrario, la Bce la quale solo a marzo concluderà il suo lungo Quantitative Easing, mentre già l’economia nella zona euro evidenzia segnali di rallentamento.

La discesa dei mercati nel mese di ottobre non è stata di poco conto, ma non si è evidenziata alcuna situazione di panico, che potrebbe scaturire solo qualora i titoli bancari continuassero ad inabissarsi sommandosi ad eventuali gravi danni nel tessuto economico mondiale derivanti dalla guerra commerciale planetaria.

Il mese che si sta per concludere ha provocato alcune gravi ferite nel trend di crescita degli indici azionari. I listini principali hanno rotto al ribasso le media mobili a 200 giorni, ma è ancora presto per fare il funerale ai mercati, in virtù di tutti i recuperi ai quali ci hanno abituato nelle precedenti brevi fasi di correzioni che hanno, inoltre, sempre lanciato i listini verso nuovi record.

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