Molte persone, compreso l’autore, sono convinte che una nuova crisi economica arriverà presto o tardi, quest’anno o l’anno prossimo. Questa convinzione è anche supportata da una casualità statistica che fissa ogni 7 anni lo scoppio di una crisi economica dalla Grande Depressione in avanti. Qualora la previsione fosse corretta, una nuova crisi finanziaria dovrebbe scoppiare nel 2015: il quinquennio 2015-2020 sarà un inferno per gli Stati Uniti e, di conseguenza, per il mondo intero.
Torniamo all’ultimo atto verificatosi: la crisi del 2008 con il fallimento della banca privata d’affari statunitense, Lehman Brothers. Il mercato azionario crollò e gli Stati Uniti sperimentarono la peggiore recessione dalla fine della Grande Depressione del 1929. Il grafico conferma la profondità della caduta dell’indice Dow Jones.
Prima di quel periodo, il precedente shock del mercato azionario americano si verificò nel 2001, quando due aerei dirottati da terroristi si schiantarono contro le Torri Gemelle. Quello fu un anno di recessione e di gravi turbolenze del mercato.
Sette anni prima, nel 1994, gli investitori subirono la peggiore crisi del mercato obbligazionario della loro storia. Un bagno di sangue molto pesante per chi vi rimase coinvolto. I rendimenti del titolo governativo americano a trenta anni salirono di 200 basis points nei primi nove mesi dell’anno, colpendo pesantemente non solo gli investitori ma anche le aziende. A peggiorare la situazione si aggiunse anche il default del Messico e quello della contea americana di Orange.
Il 1987, invece, viene ricordato sempre per il famoso “crash del mercato azionario il 29 di ottobre, il famoso “Black Monday” durante il quale il Dow Jones si inabissò in una giornata del -22%, perdendo oltre 500 punti.
Prima del 1987, il peggior crollo si verificò nel 1980, alla fine di un decennio difficile e prima dell’avvento della presidenza repubblicana di Ronald Regan. Il Paese passava attraverso una profonda recessione con il tasso di disoccupazione che salì al 10,8%, livello che non fu fortunatamente più superato, nemmeno nel 2009 quando si fermò al 10%.
Nel picco di questa crisi ci furono i fallimenti a catena delle Savings & Loans, una famiglia di banche americane molto radicate nell’economia del Paese, che misero a serio repentaglio il sistema finanziario statunitense. L’economia arrivava da anni di “stagflazione”, con alta inflazione e bassa crescita, della presidenza democratica di Jimmy Carter (1976-80). La Federal Reserve alzò i tassi di interesse in modo aggressivo per combattere l’inflazione e, con questa misura, contribuì a peggiorare la recessione, che proseguì anche nella prima parte del primo mandato di Regan, fino al 1982.
Un altro flash-back di 7 anni e siamo al 1973. I giovani non l’hanno vissuto, ma gli anziani si ricordano l’embargo petrolifero dell’Arabia Saudita, le lunghe code ai distributori, le città deserte e le domeniche a piedi. Ovviamente in quell’anno, tutte le economie petrolio-dipendenti entrarono in recessione e non ne uscirono prima del 1975.
Chi ha studiato questi andamenti conferma che questo percorso ha proseguito indietro nella storia, registrando altre crisi, alcune di minore entità, ogni 7 anni e arrivando con precisione, quasi perfetta, al doppio crollo del 1937 e del 1929-31.
Pertanto in definitiva abbiamo assistito a crolli finanziari ricorrenti ogni 7 anni. Succederà anche nel 2015?
Sicuramente molti non credono nella statistica o meglio ancora nella cabala. Si tratta di una lunga premessa per trovare altre motivazioni più empiriche che fondamentali, per profetizzare il prossimo crollo dei mercati azionari, in salita da ormai 54 mesi. Cosa farà pertanto deragliare il mercato azionario nei prossimi mesi? O la corsa è ormai inarrestabile come ci stanno facendo credere?
Lo scudo delle banche centrali sembra al momento del tutto imperforabile. Più negative sono le notizie economiche e più gli indici continuano ad inanellare nuovi record. Lo S&P500 ne ha registrati ben 33 in 8 mesi, solo quest’anno, una pura follia considerato lo stato comatoso dell’economia americana.
Guerre, crisi valutarie, deflazione, bolle creditizie ed immobiliari, bassa crescita o recessione nulla smuove la fiducia incrollabile degli investitori. I bassi tassi di interesse raggiunti dalle obbligazioni continuano, invece, ad essere ulteriore benzina sul fuoco per i listini azionari mondiali.
La bolla è gigantesca, la più grande mai registrata a livello planetario. Alcuni ottimisti sostengono che il mercato si arrenderà solo di fronte alla prossima recessione dell’economia americana, ancora non così evidente nei numeri.
Vedremo. Ma la forza di gravità non è ancora stata vinta e le quotazioni non potranno lievitare all’infinito.