Thursday 21st November 2024,
Pinguinoeconomico

ITALIA – COME E’ DIVENTATA UNA ECONOMIA SUB EMERGENTE

Il debito pubblico raggiunge a maggio i 2.166 miliardi con un incremento, rispetto ad inizio anno del 4,7%; in aggiunta JPMorgan, banca d’investimento statunitense, abbassa le stime di crescita del Pil 2014 per il nostro Paese a zero.

Debito esponenziale e crescita inesistente: due elementi costanti negli ultimi venti anni di storia economica italiana. In mezzo c’è solo chi sopravvive a questa continua carneficina: un coacervo di aziende ancora ben strutturate (poche) o che hanno la fortuna di lavorare con l’estero ed in settori ad alta tecnologia o con un marchio forte e di alta qualità.

Molti distretti industriali, simbolo della nostra eccellenza nel mondo, sono stati chiusi o gravemente ridimensionati. Un esempio è quello di Ivrea e dell’Olivetti, la nostra Silicon Valley degli anni ’80. Delle 50k persone impiegate ne sono rimaste solo qualche centinaio, mentre in città i due poli di attrazione lavorativa sono un centro sanitario e due call center, che tutti insieme impiegano 3.100 dipendenti.

Le fabbriche sono diventate dei musei e molti dei figli nati dai lavoratori Olivetti, ora trentenni, non hanno lavoro e devono emigrare o vivere ancora con i genitori. Ivrea è una finestra della decadenza imprenditoriale ed industriale italiana, accelerata dalla crisi finanziaria dopo il 2008.

Ma i problemi sono nati già molto prima e la nostra crisi ha pochi paralleli con altre economie sviluppate. L’economia italiana è cresciuta molto poco  dal 1994 a fine secolo, mentre ha iniziato un continuo declino da inizio millennio, unico Paese tra i 34 tracciati ed analizzati dall’ OECD, (Organizzazione Economica per la Cooperazione e lo Sviluppo)

Per  definire la crescita nel lungo periodo di una economia emergente, gli economisti misurano una serie di indicatori: popolazione ed occupazione, investimenti privati e pubblici, produttività industriale e del lavoro, forza/legalità dello stato, amministrativo, giudiziario ed istituzionale. In ognuno di questi parametri l’Italia è regredita sin dagli anni ’80.

Da inizio secolo, oltre 120k aziende manifatturiere hanno chiuso i battenti e 1,2 milioni di posti di lavoro sono stati bruciati, secondo Confindustria, nel settore industriale. Persino il Giappone, negli ultimi 20 anni, malgrado il suo periodo di lunghissima stagnazione, è cresciuto a velocità doppia rispetto all’Italia.

Lo scenario di breve periodo sembra invece a prima vista leggermente più roseo. Nell’ultimo anno i mercati finanziari hanno dato respiro all’Italia, dopo aver temuto un suo default o un’uscita dall’euro a fine 2011. Le speranze sono però ridotte ad un lumicino ed anche la recente luna di miele con Matteo Renzi, attuale premier, sembra al capolinea. Troppe promesse di riforme, ormai ferme da anni, ma pochi fatti e portafoglio vuoto. Così si spiega il recente tentativo di metterla sulla rissa con la Germania per guadagnare tempo, chiedendo una flessibilità che nessuno ci vuole accordare, sapendo che l’Italia è un Paese sempre a rischio e che il nostro enorme debito è una bomba ad orologeria.

L’Italia rimane infatti il secondo Paese manifatturiero europeo, dietro la Germania e ben avanti la Francia, con un risparmio privato tra i più elevati al mondo e debiti delle famiglie molto contenuti e concentrati solo sul settore immobiliare (mutui).

La precaria situazione della nostra economia è una minaccia costante per l’Europa. Dopo tre anni dal quasi collasso dell’euro, il debito pubblico ha raggiunto il 134% del Pil, secondo solo alla Grecia in Europa e terzo al mondo tra i Paesi sviluppati, capeggiati dal Giappone (240%), mentre non si intravede come Roma possa fermare la macchina del debito, pur in presenza di un costo del rifinanziamento mai così contenuto.

L’Italia quindi come Ivrea, nelle ultime due decadi. Si vive di rendita, manca il lavoro, ma si sopravvive grazie alle rendite dei capitali accumulati, tesoretti che continuano a ridursi perchè intaccati e con bassi rendimenti. La popolazione invecchia velocemente e la natalità langue. La spesa sociale esplode ed i tagli vengono fatti orizzontalmente su istruzione e sanità, mentre la burocrazia e l’apparato politico continuano a bruciare cassa, aumentando il deficit ed impedendo la riduzione dello stock di debito. Ivrea ha ora una età media di 48 anni, quattro oltre la media nazionale, ma otto in più di quelle transalpine e britanniche ed undici rispetto ai più giovani Stati Uniti d’America.

Nel Paese mancano alternative valide. Le grandi aziende hanno in larga parte chiuso, lasciando desolazione e povertà. Non ci sono stati sostituti in nuovi distretti più avanzati come la tecnologia, grande assente nel settore dei servizi, a parte qualche rara eccellenza individuale. La burocrazia non facilita l’apertura di una azienda e competere con gli stranieri è un’impresa sempre molto ardua.

Purtroppo diciamo sempre le stesse cose da decenni, mentre il tempo scorre e sta finendo, ma si fa invece il passo del gambero invece di migliorare.

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