Agosto, tempo di vacanze, ma non per i mercati finanziari, che spesso durante questo periodo approfittano degli scarsi volumi per realizzare movimenti repentini, di solito – anche se non sempre – al ribasso.
Tuttavia, i mercati non si muovono per speculazione o coercizione, ma anticipano realtà e situazioni economiche, talvolta già latenti anche nell’economia reale, che si verificheranno nelle settimane o mesi successivi.
Tra le crisi militari di Iraq, Ucraina e Medio Oriente e l’emergenza sanitaria dell’Ebola nell’Africa Occidentale, il crollo settimanale di alcuni mercati europei è quasi passato inosservato e soprattutto, ancora una volta, ne sono state banalizzate le motivazioni, nella speranza che la correzione degli indici azionari sia ancora una volta “rimediata”, anche grazie alla tenuta di Wall Street, unica Borsa che ha chiuso in positivo la scorsa settimana.
Difficile, tuttavia, se non quasi negligente, non rimarcare la caduta verticale dell’indice italiano, che si inabissa in cinque sedute di quasi il 6% (-5,7%). Anche il Dax tedesco non ha fatto molto meglio ed ha portato la perdita in due settimane al -10%, al limite della correzione tecnica del mercato azionario.
Si tratta di un funzionale e salutare storno, come quasi tutti i “money managers” hanno affermato, dopo le indigestioni successive agli eccessivi rialzi degli anni passati o l’inizio di un movimento ribassista che potrebbe portare ad un prossimo crollo?
In verità continua l’inarrestabile ottimismo degli investitori, i quali fingono di non percepire il rischio geopolitico che sta spostando anche i già fragili equilibri economici mondiali. In Europa, ad esempio, l’improvvisa caduta degli indici azionari tedesco ed italiano ha precise motivazioni macroeconomiche.
In Germania gli utili aziendali hanno infatti raggiunto un probabile picco ed incominciano a scendere. Ne hanno fatto le spese colossi delle vendite al dettaglio, che hanno riportato una caduta dei profitti significativa nel secondo trimestre con Adidas a guidare il crollo in Borsa con un -13% in una sola seduta, il peggior calo giornaliero dalla quotazione dell’azienda dal 1995. Ma anche le ammiraglie del settore automobilistico, l’eccellenza teutonica insieme alle macchine per la produzione industriale, cominciano a battere in testa. Con vendite ormai plafonate, Volkswagen ha dichiarato il taglio dei costi di 5mld di euro entro il 2017 per migliorare la redditività, alquanto modesta. Vale a dire che a fronte di vendite record, i margini sono molto risicati. Di conseguenza anche le grosse aziende cominceranno una serie di licenziamenti, che si aggiungono alla forte debolezza riscontrata nell’economia tedesca a causa della crisi russo-ucraina. In seguito alla applicazione di sanzioni economiche sempre più restrittive nei confronti della Russia ed a fronte della successiva ritorsione da parte di Putin, le esportazioni tedesche sono scese del -34% nel primo semestre dell’anno, rispetto allo scorso anno e la situazione non tenderà a migliorare. A luglio infatti il Paese ha registrato una forte contrazione: -4,2% su anno e -3,4% sul mese precedente degli ordini industriali.
L’egemonia teutonica sembra al capolinea, mentre l’Italia, la terza economia del vecchio Continente non ha mai neanche rimbalzato. A sorpresa, ma non per tutti, il Pil italico è sceso anche nel secondo trimestre 2014. Si tratta del 14esimo calo consecutivo, se evitiamo di considerare il frazionale segno positivo riscontrato nel quarto trimestre 2013. Una situazione imbarazzante, ma che testimonia lo stato di prostrazione economica nel quale versa il Paese. Conti che non tornano, buchi nel bilancio dello Stato e probabile, ma direi sicura, ennesima manovra finanziaria a settembre per coprire il disavanzo eccedente e rimanere sotto la mannaia del rapporto deficit/Pil al 3%.
Il resto dell’Europa non ride, a cominciare dalla Francia, mentre il rimbalzo tanto ammirato della Spagna sarà effimero, perché conseguenza di manovre economiche che impoveriscono sempre di più un Paese che vive ormai solo di turismo ed export, settori che non potranno crescere all’infinito e compensare il collasso del settore manifatturiero e delle costruzioni/immobiliare.
Draghi e la Banca Centrale Europea sono alquanto responsabili di questo nuovo disastro economico. Mentre infatti la prima crisi economica del 2008 arrivò quasi per tutti come un fulmine a ciel sereno, questa volta la BCE ha la responsabilità di aver illuso governi, ma soprattutto cittadini, che la ripresa fosse reale e dietro l’angolo, chiedendo grossi sacrifici economici. La “non ripresa” è stata così sempre spostata in avanti. Sento le stesse sirene dal secondo semestre 2012 e ora è tutto rimandato già al 2015, dopo che l’anno in corso ha già deluso le solite ed ingannevoli aspettative troppo ottimistiche. Neanche la folle politica dei tassi a zero ha consentito ai governi di ridurre deficit e debito, mentre gran parte del sistema bancario europeo è tuttora insolvente e tenuto in piedi dai prestiti della BCE.
Draghi insiste nel suo errore di chiedere riforme ai governi europei degli stati periferici, non capendo che con la stampella della BCE sempre disponibile in quantità indefinita, nessun esecutivo politico eliminerà privilegi e taglierà la spesa pubblica. Intanto però l’economia privata continua a soffrire ed a perdere posti di lavoro, mentre prosegue il “credit crunch” bancario che accelera la chiusura delle aziende più pericolanti.
Sei anni sono trascorsi ormai dal fallimento della banca d’affari americana Lehman Brothers e le economie stanno peggio rispetto allo scoppio della prima crisi. Non solo l’economia europea è in coma vegetativo, ma il Giappone non riesce a decollare, malgrado trilioni di nuovi yen stampati nel vano tentativo di far ripartire inflazione ed esportazioni, svalutando lo yen.
Gli USA sono anch’essi sull’orlo del baratro. In 7 anni il Pil è cresciuto ad un tasso medio del +0,9%, mentre il debito è raddoppiato da 9,5 a 17,5 trilioni di dollari, in conseguenza anche dei sussidi pubblici a banche ed imprese.
Tutto questo con tassi ai minimi storici per sei anni e 4 trilioni di dollari stampati dalla FED, ma l’economia statunitense continua a boccheggiare. I consumi non crescono più, mentre il numero dei sussidi ai poveri è cresciuto da 22mln a 47mln, durante la presidenza Obama. Oltre 120mln di cittadini americani ricevono una qualche forma di sussidio pubblico, pari ad oltre il 30% della popolazione.
L’iceberg è stato quindi già speronato, ma continuiamo a ballare indifferentemente, pensando ingenuamente che la barca non affonderà. Non solo nessuno riporterà la nave in un porto sicuro, ma rimandare il problema della ristrutturazione economica sarà una catastrofe peggiore di quella attuale. Pensare di inondare l’economia reale con credito a costo zero o molto basso è pura follia, che l’esperienza di questi ultimi cinque anni ha già dimostrato. Procedendo con questa insana strategia, continueremo a speronare l’iceberg fino a quando la nave finirà contro un blocco di ghiaccio più grosso degli altri, che ci affonderà definitivamente.
E’ inutile pensare che le banche centrali ci possano poi “salvare” anche questa volta.
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