Mentre euro e yen hanno toccato minimi venticinquennali rispetto al biglietto verde, la sterlina ha raggiuto quelli da trentotto anni nei giorni scorsi.
Analizziamo di seguito questa débacle, che è pericolosamente accelerata negli ultimi sei mesi e che impegna le rispettive autorità monetarie in un tentativo di difesa che sembra al momento del tutto inefficace.
LO YEN GIAPPONESE
Da mesi è iniziata la difficile sfida della Banca Centrale giapponese nel tentativo di evitare sia il rialzo dei tassi che la rapida svalutazione dello yen.
Battaglia impari, in quanto non è possibile avere successo su entrambi i fronti ed il rischio di incaponirsi nel mantenere i tassi al livello zero potrebbe avere conseguenze molto spiacevoli per il futuro dell’economia del Sol Levante.
Giovedì 22 settembre la Banca del Giappone è intervenuta sul mercato dei cambi, per la prima volta dopo 24 anni, in difesa dello yen. Il superamento della soglia di 145 contro dollaro era ritenuto un campanello di allarme, che la divisa domestica non avrebbe dovuto oltrepassare: una linea Maginot oltre la quale la svalutazione è considerata pericolosa, perché contribuisce ad imbarcare inflazione sulle materie prime energetiche ed alimentari, che la terza economia mondiale importa per il 90% del proprio fabbisogno.
Lo yen ha iniziato a perdere terreno contro il dollaro da gennaio 2021. A quel tempo erano necessari ¥104 per comprare $1 ed il cambio è scivolato lentamente verso la barriera dei 115 lo scorso marzo. Perforato tale supporto, la divisa nipponica è scesa come una valanga che travolge tutto lungo il suo cammino, arrivando in modo sostenuto ed in pochi mesi verso i 145.
A questo livello la Banca Centrale è dovuta intervenire, comprando yen e vendendo titoli di stato americani in dollari. Nei due giorni successivi, il cambio è risalito fino a 142,5 per poi scivolare di nuovo a 145 già a fin mese. Si intuisce, di conseguenza, che saranno necessari nuovi interventi i quali non potranno, tuttavia, essere eccessivi per non depauperare velocemente le riserve valutarie.
Tutto questo è noto ai mercati finanziari, i quali prenderanno ancora di mira la divisa del Sol Levante, persistendo la volontà della Banca del Giappone di mantenere i tassi a zero, malgrado le altre principali Banche Centrali sia siano già mosse al rialzo da diversi mesi.
LA STERLINA BRITANNICA
La divisa inglese sta vivendo uno dei periodi più bui della sua storia recente. Alla radice vi è un mix di eventi che vanno dalle conseguenze della Brexit, all’elevata inflazione e crisi economica, fino all’improvviso rialzo dei tassi di interesse, che ha generato invece un effetto sfiducia sul Paese.
In aggiunta, le politiche fiscali draconiane annunciate dal nuovo premier conservatore Liz Truss hanno messo sotto pressione il sistema dei fondi pensione, obbligando la Banca Centrale ad intervenire riattivando il Quantitative Easing per evitare una crisi sistemica.
LA MONETA UNICA
Anch’essa da oltre un anno in balia del dollaro nei confronti del quale è scesa sotto la parità nel mese di settembre. Il differenziale dei tassi di interesse e la profonda crisi economica che investe il Vecchio Continente, a causa delle sanzioni imposte alla Russia, sono le principali ma non uniche cause della debolezza dell’euro.
YUAN CINESE e VALUTE EMERGENTI
Il biglietto verde la fa da padrone non solo nei confronti delle valute forti, ma anche rispetto alle cosiddette valute emergenti.
La più sotto pressione è sicuramente lo yuan cinese, passato da 6,7 a 7,3 anch’esso nel corso di un semestre. Ci sono poi divise come la lira turca, che aggiornano quasi quotidianamente nuovi minimi storici, afflitta da un tasso di inflazione interno che ha raggiunto l’ottanta per cento.
LA PIU’ FORTE DELL’ANNO: IL RUBLO RUSSO
Nella guerra valutaria il vincitore del 2022, almeno dopo i primi nove mesi, è sicuramente la divisa russa. Il rublo è passato da 82 a 158 contro dollaro nei primi giorni successivi lo scoppio del conflitto bellico con l’Ucraina. Ora la valuta sovietica si è rivalutata fino a 58 in virtù dell’aumento delle entrate petrolifere e di gas e dall’obbligo imposto di pagamenti in rubli.
I PROSSIMI MESI
Il predominio del dollaro durerà sicuramente ancora per qualche mese, ma non all’infinito visto l’enorme debito pubblico interno che gli stati Uniti devono finanziare, l’inflazione al nove per cento e l’economia già in recessione. In aggiunta, ci sono le elezioni di mid-term – l’8 di novembre – che sembrano prefigurare una sconfitta per la coalizione democratica e la perdita della maggioranza sia alla Camera che al Senato.
Nel frattempo, i vari governi dovranno tentare di contrastare la forza del biglietto verde, depauperando le proprie riserve valutarie ed alzando i tassi di interesse per rendere più appetibili le loro valute. Imprese non senza rischi collaterali e che potrebbero anche fallire, come sta peraltro già avvenendo sin da inizio anno.