Un ulteriore rallentamento dell’economia spingerà la banca centrale verso la stampa di nuova moneta, probabilmente prima di luglio.
Finora, da inizio anno, l’autorità monetaria ha evitato di aggiungere nuovi stimoli, sostenendo che ci fosse una moderata ripresa e che il tasso di inflazione si stesse avvicinando all’obiettivo previsto del 2% (attualmente è al 1.3%). Conferma inoltre che le spese per investimenti nel settore sia pubblico che privato siano in ripresa, anche se i dati non confermano alcuna continuità, mentre i consumi mostrano una buona tenuta.
Di conseguenza la Banca Centrale ha votato all’unanimità il mantenimento dello stimolo invariato tra i 60-70 trilioni di yen annui, una cifra ($583-680 miliardi) che supera ormai quella della Fed, la quale sta continuamente decelerando (tapering) verso i $45 miliardi al mese, che saranno azzerati entro ottobre, salvo repentini ripensamenti. La Bank of Japan sostiene infatti che l’entità della ripresa economica sarà sufficiente a controbilanciare l’effetto negativo dell’aumento dell’IVA.
In realtà, abbiamo visto nella prima parte dell’analisi come le convinzioni della Bank of Japan non siano condivisibili e come quasi tutti gli indicatori macroeconomici volgano al brutto od addirittura verso tempesta. Si tratta quindi della solita propaganda, già ampiamente nota, in quanto continuamente perpetrata anche dalla Fed e dalla Bce: tentano di convincerci che il peggio sia passato, grazie ai tassi ai minimi storici, che lasciano pensare che la crisi finanziaria sia finita. Quindi aspettiamoci presto un cambio di direzione, pur ribadendo che l’entità dell’attuale intervento di stimolo è già tre volte quello della Fed negli Stati Uniti, rispetto alle dimensioni delle rispettive economie. C’è da chiedersi se l’economia giapponese possa quindi reggere ulteriori stimoli monetari, quando sembra che il cavallo non abbia più sete.
Incrementi dei salari dietro l’angolo ?
Malgrado tutte le prospettive numeriche non confortanti, l’inflazione potrebbe salire, anche senza ripresa economica. Ci sono una serie di numeri e miti da sfatare sull’andamento dell’economia giapponese dal 1990 ad oggi per verificare se veramente oltre due decadi di crescita siano stati persi. In realtà la performance nipponica, in questi ultimi 25 anni, non è stata così negativa, considerando che il Giappone ha una popolazione in calo e la più vecchia al mondo. Forse fare riferimento solo all’andamento del Pil potrebbe essere infatti un errore un po’ superficiale. Con l’aggiustamento della popolazione, il Pil del Giappone procapite è cresciuto molto di più di altri Paesi in termini nominali, tra i quali gli USA, negli ultimi 15 anni.
Questa considerazione porta ad un secondo mito: che la deflazione sia la principale causa della debolezza del Pil giapponese. Anche in questo caso l’aspetto demografico ha una rilevanza significativa, dato che il livello massimo di popolazione attiva, vale a dire in grado di lavorare (15-64 anni), è stato raggiunto nel 1997. Ciò dimostra che non è necessario debellare la deflazione nel paese del Sol Levante con una gigantesca politica monetaria espansiva (QE), peraltro utilizzata da numerose altre banche centrali. Con il tasso di disoccupazione a livelli molto bassi (in Giappone è ancora difficilissimo licenziare perché il Governo incentiva le aziende a mantenere i lavoratori anche improduttivi), alcuni economisti sono convinti che ci sarà presto scarsità di manodopera qualificata e che di conseguenza i salari saranno destinati a crescere, mettendo in moto il processo di inflazione definita “benigna”, in quanto innesta tutta una serie di circoli virtuosi essenzialmente graditi: dalla ripresa dei consumi alla maggiore profittabilità delle aziende, che possono alzare i listini di vendita. Questo meccanismo dovrebbe innescarsi nei prossimi due/tre anni, se pensiamo che dal 1997 ad oggi la popolazione attiva si è ridotta dai 69 milioni ai 65 attuali e tenderà ancora a decrescere, anche nei prossimi anni. In particolare la fascia tra i 15-24 anni è crollata da 8.9 milioni a 4.9, sempre nello stesso periodo. E’ evidente pertanto che il tasso di disoccupazione sia calato, ma non per un miglioramento delle condizioni economiche. Finora questo fenomeno non ha ancora prodotto risultati nella crescita salariale, ma alcuni economisti non hanno dubbi che quanto prima accadrà. Anche il Primo Ministro sta facendo pressione sulle aziende affinchè alzino i salari per far ripartire l’inflazione. In realtà, viste le statistiche precedenti ed il veloce tasso di invecchiamento della popolazione, sembra non essere necessario: l’aggiustamento sarà automatico. Quindi potremmo dire che l’inflazione arriverà in Giappone, è solo questione di tempo. L’Abenomics, in aggiunta, potrebbe solo accelerarne il processo.
Notizie positive dall’inflazione.
Pertanto molti economisti soffiano sulla brace dell’inflazione, sperando che si incendi. Sembra quindi che l’inflazione sia un fulcro importante nel sostenimento della crescita economica. Questo sfida alcuni luoghi comuni come quello che la deflazione accompagni periodi di recessione, come già analizzato in un precedente articolo. In sintesi, sia la crescita che la discesa dei prezzi sono ininfluenti sul meccanismo di crescita economica, almeno sembra, sulla base delle esperienze storiche.
In conclusione, quasi tutti sono concordi che un tasso di inflazione più elevato in Giappone, porterà alcuni benefici, perlomeno nel breve periodo:
- Teoricamente, gli imprenditori dovrebbero essere in grado di assumere e licenziare più facilmente. Questo è un dato considerevole, in presenza di un mercato del lavoro molto rigido. Le ristrutturazioni aziendali sono sempre state molto lente per questo motivo. Inoltre, l’inflazione più elevata aiuta il paese a sostenere l’elevato onere del debito pubblico, almeno in termini nominali, facendo crescere il Pil. E’ solo un aspetto tecnico (rapporto debito/Pil), tanto apprezzato dai mercati finanziari, mentre nella sostanza – debito ed interessi – nulla cambia.
- Salari più elevati dovrebbero alimentare maggiori spese nel breve periodo: la questione non è indifferente con consumi che incidono sulla creazione del Pil per il 60%.
- Per i sostenitori dell’ “effetto ricchezza”, il mercato azionario dovrebbe trarre beneficio da una maggiore inflazione, in base alle esperienze passate.
…Effetto controbilanciato dai rischi del mercato obbligazionario.
Lo stimolo monetario, associato alla crescita dei salari, potrebbe far salire il tasso di inflazione ben oltre quanto la Bank of Japan sia in grado di controllare. Questo è il timore principale di Tokyo e degli investitori, che temono un collasso del mercato obbligazionario e valutario, anche contemporaneo.
Come tutti ormai conosciamo, il peso del debito nipponico (pubblico+privato+societario) è straordinario e raggiunge il 500% del Pil. In aggiunta le spese dell’apparato pubblico sono pari a 20 volte le entrate, mentre gli interessi sul debito pubblico erodono già il 25% delle entrate ed arriveranno oltre il 40%, in meno di un decennio.
Tutti sappiamo che il Giappone non ripagherà MAI il proprio debito. Può scegliere di tagliare la spesa pubblica nel tentativo di ridurlo, ma ciò causerebbe l’ennesima recessione o addirittura una depressione, vista la misura dei tagli che sarebbe necessaria. Di conseguenza preferisce la strada più semplice ed attualmente indolore: inflazionare il già mostruoso debito.
Tuttavia, anche una elevata inflazione comporta alti rischi. Se l’inflazione infatti si impenna, lo stesso accade ai tassi di interesse. Se salissero solo al 2% medio (per noi italiani un livello che stiamo faticosamente ora raggiungendo ma non per merito nostro), la spesa per interessi balzerebbe all’80% delle entrate fiscali dal 25% attuale nonostante tassi di interesse vergognosamente bassi. Qualsiasi livello di crescita economica sarebbe insufficiente per bilanciare questo drammatico evento. Se ciò avvenisse (le possibilità non sono così remote), ci sarebbe una elevatissima probabilità che il mercato obbligazionario collassi con conseguenze a dir poco sistemiche, non solo per il Giappone, ma per tutto il sistema finanziario mondiale.
Gli inguaribili ottimisti, spesso gli stessi in forte malafede, sostengono che un simile evento sia impossibile, visto che il 93% del debito pubblico è domestico, vale a dire detenuto dai giapponesi. Essi ignorano però due cose. La prima è che i risparmiatori sono molto anziani e dovranno vendere le obbligazioni per finanziare le loro pensioni. La seconda è ancora più evidente, se il Giappone continuerà a registrare deficit nella bilancia dei pagamenti sempre più elevati, gli stranieri dovranno finanziare una percentuale del disavanzo, ma chiederanno sicuramente tassi di interesse più elevati di quelli che vengono ora offerti.