L’economia è come sappiamo molto cinica e mentre ancora si contano e si cercano di seppellire le migliaia di vittime del terribile ciclone tropicale che si è abbattuto sulla parte orientale dell’arcipelago asiatico già si fanno i conti dei costi finanziari su una delle più promettenti economie del sud est asiatico.
Parliamo di una economia che negli ultimi anni è stata tra le più brillanti in quell’area geografica, superata solo dalla Cina e dall’Indonesia in alcuni periodi.
Nel secondo trimestre dell’anno il Pil è cresciuto del +1,4% sul trimestre precedente e del +7,5% annualizzato trainato da robusti consumi e solidi fondamentali che hanno evitato il deflusso di capitali che ha investito tutta la regione asiatica dopo il 22 maggio quando la Fed, la banca centrale americana, ha parlato per la prima volta di “tapering” vale a dire di rallentare l’acquisto di titoli governativi americani riducendo lo stimolo monetario all’economia statunitense. Gli investitori hanno venduto le valute emergenti verso le quali erano troppo esposti e anche il peso filippino non si è dissociato dal gruppo ma in misura molto più contenuta arrivando a perdere fino all’8% rispetto al dollaro da inizio anno, livello più basso da 3 anni nei confronti del biglietto verde. Ora la caduta si attesta intorno al -5%, un terzo di quelle sostenute dalla rupia indiana ed indonesiana. La Borsa di Manila ha comunque raggiunto i massimi storici con diversi record nel corso dell’anno.
Parliamo di una economia di ben 97 milioni di abitanti sostenuta dalle rimesse valutarie dei filippini emigrati all’estero che ammontano a 1,7mld di dollari al mese pari al 10% del Pil del Paese che ha superato l’Indonesia come piazza finanziaria più sicura ed è stata premiata dalle agenzie di rating (valutazione) internazionali che hanno alzato nel corso dell’anno il giudizio sulla solvibilità del debito.
Oltre che dai consumi la crescita è indotta dalla spesa pubblica ed in particolare nella sua componente di investimenti fissi nella costruzione di infrastrutture necessarie per collegare un arcipelago molto frammentato dalle miriade di isole che lo compongono pari a 7.107 delle quali molte sono disabitate.
Le Filippine hanno registrato una crescita superiore al 7% negli ultimi quattro trimestri consecutivi malgrado nel primo semestre dell’anno sia le importazioni che le esportazioni siano in calo del 4% rispetto allo scorso anno mentre l’inflazione è solo al 3%, ampiamente sotto controllo rispetto ad India ed Indonesia.
Ma torniamo al tifone di proporzioni devastanti che ha investito l’arcipelago lo scorso 8 novembre con venti fino a 320km/h. Solo pochi giorni prima (15 ottobre) una zona vicina era stata colpita da un violento terremoto di magnitudo 7.2 che ha provocato oltre 100 vittime. Secondo statistiche internazionali le Filippine sono il quarto Paese più esposto ai danni e alla perdita di vite umane per calamità naturali dopo gli Stati Uniti, la Cina ed il Giappone. Il Paese si trova infatti sulla rotta di passaggio tra la formazione dell’uragano in pieno Oceano Pacifico e la terraferma asiatica con la Cina ed il Vietnam (dove si è scaricato definitivamente Haiyan) e Taiwan in precedenza da ulteriore parafulmine. Ogni anno è quindi colpito da tifoni e terremoti che provocano disastri quantificati mediamente in 1,6mld di dollari, una somma di denaro non indifferente anche per una economia non emergente.
Tutto questo malgrado l’attuale Presidente Aquino ed i suoi predecessori abbiano incrementato la spesa annuale in strade, infrastrutture, aeroporti e difesa dal rischio tsunami. Tuttavia nel corso del catastrofico evento climatico la città di Tacloban (220k abitanti), la più colpita, è stata sommersa da un onda di 4 metri assolutamente imprevedibile.
In passato il Paese ha superato indenne le annuali catastrofi naturali che lo hanno colpito. Tuttavia le prime informazioni ricevute parlano di 9,5mln di persone economicamente coinvolte/danneggiate dal tifone, cifra che ammonta al 9% della popolazione. Il disastro economico è stato quantificato in 14mld circa 9 volte la media annua stanziata per le catastrofi naturali. Il Presidente ha dichiarato che raddoppierà la spesa in lavori pubblici fino a 19mld di dollari entro il 2016 incrementando così il deficit di bilancio.
Grazie agli investimenti fatti dal Governo sui sistemi di allarme e di prevenzione oltre 125k persone sono state evacuate da 22 province; un lavoro eccellente in parte vanificato dall’onda imprevista che ha seguito il tifone che ha fatto meno vittime ma ha distrutto case, coltivazioni e posti di lavoro lasciando i sopravvissuti nella più desolante disperazione.
Il Governo è preoccupato anche per i danni all’agricoltura. La zona devastata produce canna da zucchero ed il raccolto dell’anno prossimo sarà compromesso con il Paese che diventerà importatore da esportatore di questa materia prima alimentare. Infine anche il turismo che quest’anno è cresciuto dell’11% risentirà negativamente delle conseguenze del tifone non tanto per le aree devastate ma soprattutto perché l’arcipelago comincia a diventare un luogo non sicuro tra il terrorismo islamico che in passato rapì e anche uccise diversi turisti nella parte meridionale (Mindanao) ed il rischio climatico oramai sempre più frequente.
Sarà pertanto impossibile mantenere i ritmi di espansione economica precedenti soprattutto se aumenteranno le tensioni sulle monete dei vicini Paesi asiatici con conseguente deflusso dei capitali esteri che sono fondamentali per la sopravvivenza di queste economie emergenti. Se la crescita dovesse rallentare vistosamente i flussi di emigrazione verso altri Paesi riprenderebbero copiosamente come in passato. E’ presto però per trarre conclusioni nefaste. A prima vista le conseguenze economiche sembrano piuttosto rilevanti ma questi Paesi emergenti ci hanno già abituato a recuperi prodigiosi come in occasione dello Tsunami del 2004 che danneggiò gravemente Indonesia e Tailandia, Paesi che non risentirono economicamente della grave tragedia umana subita.