In una intervista rilasciata all’ABC News il 14 giugno, Trump ha dichiarato che la crescita economica sarebbe stata almeno di un punto e mezzo superiore, qualora la Fed non avesse alzato i tassi di interesse nel 2018.
Nel corso dell’ultima riunione del board della Banca Centrale americana, Powell non ha dato indicazioni precise sul cambio di direzione di politica monetaria da restrittiva ad espansiva, ma i mercati si attendono e scontano un taglio di almeno 25 punti base e forse oltre.
Non era infatti previsto un taglio a giugno, ma le pressioni politiche dalla Casa Bianca erano tali da non poterlo escludere.
In aggiunta, la Bce ha sparigliato le carte una settimana prima, confermando interventi straordinari a favore dell’economia (QE) e delle banche continentali (TLTRO).
In seguito ai meeting di entrambe le banche centrali, l’umore dei mercati finanziari è tornato al bello, lanciando lo S&P500 al nuovo massimo storico, che supera quello precedente dello scorso aprile.
L’ATTEGGIAMENTO DELLA FED
Nel corso dell’audizione di questa settimana, Powell ha ribadito l’indipendenza della Banca Centrale e la sua assoluta estraneità a qualsiasi influenza politica.
I dati macro economici sono ancora piuttosto brillanti e non tali da suggerire alcun tipo di cambio di strategia monetaria, sia dolce che aggressivo.
L’esito del FOMC della scorsa settimana non è stato pertanto una sorpresa e le aspettative per un marcato calo dei tassi di interesse nei prossimi mesi sembrano eccessive.
Tuttavia, il sensibile calo dei rendimenti obbligazionari su tutto l’arco della curva dei tassi dallo scorso dicembre presuppone l’anticipazione o di un forte rallentamento dell’economia o in alternativa di un “flight to safety” verso assets di investimento più sicuri, sebbene il mercato azionario non stia fornendo alcun segno di cedimento.
La Federal Reserve ha comunque comunicato un cambio di direzione della politica monetaria e questo è stato sufficiente ad innescare un mini rally a Wall Street, in aggiunta alla convinzione che ci sarà almeno più di un taglio dei tassi di interesse nei prossimi mesi.
L’INFLUENZA DELLA BCE
La Fed ha sicuramente bisogno di più tempo per valutare come procedere in bilico tra una serie di segnali contrastanti, ma pressata dalla Bce e della Bank of Japan, che continuano ad esercitare una politica monetaria ultra espansiva, indipendentemente dai risultati raggiunti in passato.
La Federal Reserve deve invece continuare a proteggere gli interessi americani, senza farsi condizionare né da Trump né tantomeno dalle altre istituzioni monetarie internazionali.
La Banca Centrale statunitense ha cancellato il sostantivo “paziente” dall’ultimo report e questa modifica è stata interpretata dal mercato come un cambiamento di atteggiamento meno prudente e più aggressivo nel contrastare il rallentamento del ciclo economico interno, per quanto non ancora così evidente nei principali dati macro economici.
LO S&P500
In questo scenario macro economico e nella “guerra” dei tassi tra le Banche Centrali e Trump, il vincitore assoluto rimane l’indice americano.
Lo S&P500 ha sbandato qualche volta sui timori di recessione, ma ha sempre creduto nell’ombrello protettivo di Powell e della Fed e della loro capacità di sostenere verbalmente e concretamente le quotazioni.
Negli ultimi anni il mercato americano si è disinteressato anche dei fondamentali micro economici (risultati aziendali), concentrandosi invece sulle mosse dell’autorità monetaria, favorevole a mantenere un’elevata liquidità nei principali assets finanziari.
Alla vigilia del G20 e dell’inizio della stagione estiva delle trimestrali, l’indice azionario mondiale più conosciuto non teme i timori delle sirene che prevedono una prossima correzione.
Anche la mini discesa di maggio è già stata recuperata a giugno e l’indice, oltre ad avere stabilito un nuovo massimo storico, attende notizie positive da Osaka e dalle trimestrali per sfondare quota 3.000 punti.