ESTATE 2016 – I RISCHI SOTTO L’OMBRELLONE
I mercati finanziari mondiali hanno, durante il periodo estivo, frequentemente registrato una elevata turbolenza. In particolare, negli ultimi anni, tornano alla memoria gli agosti infausti del 2011, del 2014 ed anche dello scorso anno.
Capire in partenza quali possano essere le variabili da monitorare, anche sotto l’ombrellone, potrebbe aiutare a contenere l’aumento della volatilità, che spesso produce danni talvolta irreparabili all’interno dei patrimoni gestiti.
L’esperienza dell’ultimo anno contribuisce, sommando i rovesci di fine estate scorsa e di inizio anno, ad illuminare lo scenario complessivo, ricorrendo ad un’analisi degli assets globale, quella che gli analisti definiscono l’ “intermarket analysis”. In effetti, il mercato azionario si è rivelato negli ultimi anni assai disallineato dai fondamentali sia macro economici che societari, in particolare negli Stati Uniti. Al contrario, non solo Wall Street ma la quasi totalità dei listini azionari hanno dimostrato la loro dipendenza dalle misure straordinarie delle Banche Centrali. In aggiunta, anche diverse materie prime ed alcune valute hanno evidenziato nel tempo un ruolo fondamentale nel condizionare gli andamenti dei listini azionari.
Ad esempio tra le divise, dollaro ed euro sono diventate nell’ultimo anno molto meno incisive nel condizionare i listini azionari rispetto allo yen ed allo yuan, le valute nipponica e cinese. All’interno delle materie prime, il rame ha visto sfumare il suo status di anticipatore della salute del ciclo economico, a favore del petrolio e dell’oro. Il metallo giallo e la divisa nipponica rivestono anche il ruolo di beni rifugio, molto più del franco svizzero, che ben si riflette in momenti di incertezza economica o di aumento della volatilità sui mercati.
YEN
La valuta giapponese è molto utilizzata da diversi anni dagli investitori nel “carry trade” internazionale, in virtù del quale i traders si indebitano in una divisa con rendimenti molto contenuti o inesistenti per investire il denaro preso a prestito in assets con ritorni più elevati e, di conseguenza, anche più rischiosi.
Da inizio anno, la moneta nipponica si è rivalutata oltre il 20% rispetto al biglietto verde, penalizzando l’andamento delle società esportatrici quotate nei listini del Sol Levante.
Il cross dollaro/yen rimane certamente una delle variabili più monitorate da analisti ed investitori. La svalutazione massiccia del cambio, sostenuta dalla coppia Abe Kuroda dal 2014 in avanti, si è rivelata il miglior carburante per la corsa della Borsa di Tokyo e degli altri listini mondiali. Al contrario, la significativa rivalutazione del cambio nel primo semestre dell’anno ha provocato un arretramento del Nikkey superiore al 20% in sole cinque settimane, rispetto ai massimi di fine anno.
PETROLIO
In “tempi normali”, la discesa del petrolio è sempre stata apprezzata dai mercati azionari, che temevano l’impatto negativo di un prezzo elevato sulla crescita economica e le conseguenze di una sostenuta inflazione. Nell’ultimo decennio, al contrario, economie e mercati hanno saputo ignorare la salita delle quotazioni del greggio ben al di sopra dei 100 dollari al barile, anche per periodi significativi. Difficile comprendere ora per quale ragione la discesa così precipitosa del prezzo sia invece grossa fonte di preoccupazione per gli indici azionari. Due sono le più comuni risposte.
Innanzitutto il boom dello “shale oil” statunitense, che è stato finanziato con un elevato effetto leva. L’inaspettato e violento crollo delle quotazioni ha messo in crisi le società del settore più indebitate, alcune delle quali sono già ricorse alla procedura di Chapter 11 (concordato preventivo), mentre altre sono a forte rischio default, qualora il greggio non ritorni rapidamente almeno al di sopra dei $60 dollari al barile.
Diversamente, se negli Stati Uniti sono le singole società ad essere escluse dal mercato, a rischio insolvenza sono anche i principali produttori mondiali dell’oro nero, che si stanno facendo la guerra aumentando la produzione a livelli record con l’obbiettivo di estromettere la concorrenza dal mercato. In questo contesto, Russia ed Arabia Saudita sono sicuramente i due Paesi maggiormente colpiti con pesanti ripercussioni sia sulla crescita economica che sulle rispettive finanze statali.
Nelle prime settimane dell’anno, le quotazioni petrolifere sono crollate a $27 dollari al barile, minimo dal 2001, provocando una significativa correzione dei listini mondiali. Il rimbalzo del prezzo del 90% nelle sei settimane successive ha alimentato il rialzo delle Borse mondiali, tutt’ora in corso, confermando quanto i listini siano parecchio “oil sensitive”. E’ evidente che il nuovo ribasso del 20%, rispetto al picco di $51,75 dell’otto giugno scorso, riporti alla luce pericolosi fantasmi.
YUAN
La Cina fa ancora paura. L’esodo di capitali dal Paese si è solo arrestato negli ultimi due mesi, ma è stato impressionante da ottobre ad aprile provocando forti pressioni sul cambio. L’effetto dirompente sui mercati azionari mondiali ha costretto Pechino ad intervenire, sterilizzando la volatilità della Borsa domestica. La Banca Centrale cinese ha inoltre tentato di contenere le variazioni del cambio che si sono, tuttavia, solo attenuate ma non arrestate. La possibilità che lo yuan possa ulteriormente svalutarsi nei prossimi mesi è ancora concreta, ed elevata allo stesso tempo, e l’idea provoca nervosismo tra gli investitori.
METALLI PREZIOSI
Spesso ignorati perché non garantiscono un rendimento cedolare, oro ed argento sono tornati in auge da inizio anno con incrementi delle quotazioni superiori al venti per cento. Gran parte del forte rialzo si è concentrato nei primi due mesi dell’anno, in corrispondenza della rivalutazione dello yen e del calo del greggio, ma il trend è proseguito anche con il recupero dell’oro nero. Una breve pausa di riflessione si è registrata solo in seguito all’indebolimento dello yen successivamente al referendum britannico, ma il trend al rialzo sembra ripreso proprio nell’ultima settimana.
SINTESI
Le correlazioni tra gli assets più rilevanti sono alla base della cosiddetta “analisi tra i mercati”, molto seguita da almeno due decenni, la quale vorrebbe agevolare la comprensione degli andamenti dei mercati. Tuttavia, quanto descritto ed accaduto nell’ultimo biennio potrebbe essere stravolto da nuove variabili. Un esempio recentissimo è l’indebolimento del dollaro nell’ultima seduta della scorsa ottava che ha provocato un rialzo del petrolio, malgrado la produzione mondiale sia cresciuta a livelli record, che tende a rafforzarsi quando il biglietto verde si deprezza. La discesa del dollaro rispetto a tutte le principali divise ha, viceversa, galvanizzato Wall Street, che beneficia del rally delle società petrolifere e della discesa del cambio, che agevola le multinazionali esportatrici. Il dollaro potrebbe pertanto sparigliare le carte rischiando di diventare l’ago della bilancia o l’indiscusso protagonista di questa situazione di falso equilibrio, attualmente permeabile solo alle manovre od alle dichiarazioni delle Banche Centrali.