Lo scorso sei ottobre in occasione della celebrazione dell’anniversario della guerra (persa) con Israele nel 1973 sono scoppiati nuovi incidenti tra i rappresentanti dei Fratelli Musulmani e l’esercito al Governo. Il bilancio di morti e feriti è stato il più elevato dagli scontri di metà agosto.
Dalla defenestrazione del dittatore Mubarak nel febbraio del 2011, l’Egitto ha attraversato un triennio molto travagliato con governi sia provvisori, gestiti dai militari, che democraticamente eletti con a capo una maggioranza islamica.
SITUAZIONE ECONOMICA –Con Mubarak il Paese è cresciuto ad una media del 6% nell’ultimo quinquennio della sua dittatura per poi crollare intorno al 2% negli ultimi due anni, un livello insufficiente per assicurare lavoro ad una popolazione in sensibile crescita e che sfiora gli 85 mln di abitanti. La disoccupazione è superiore al 10% mentre il debito pubblico è al 90% del PIL. La valuta locale si è sensibilmente svalutata (circa il 15%) per la mancanza di fiducia degli investitori esteri. Il crollo del turismo, principale fonte di entrate per le finanza pubbliche, causato dall’instabilità politica è stato compensato da prestiti erogati dai alcuni Paesi arabi che hanno finanziato le opposte fazioni che si sono alternate al Governo.
STORIA RECENTE – Dopo la caduta di Mubarak le elezioni legislative sono state vinte dai Fratelli Musulmani che hanno ottenuto la maggioranza assoluta nel gennaio del 2012. La vittoria dei moderati è stata arricchita dal secondo posto ottenuto dai salafiti, ala islamica più ortodossa, con i quali hanno raggiunto il 70% dei suffragi. Il presidente musulmano Morsi ha poi vinto la sfida per la presidenza del Paese contro un ex rappresentate del governo di Mubarak nel luglio dello stesso anno. Grandi aspettative di riforme e di crescita economica sono state bruciate da allora in un tentativo molto evidente da parte del neo-presidente di islamizzare il Paese. Nel frattempo le riserve valutarie si sono depauperate ed il presidente ha chiesto aiuto economico ai suoi fidi alleati: l’Iran ed il Qatar. Quest’ultimo ha erogato 4mld di dollari per poter fronteggiare una situazione economica disastrosa. I militari hanno approfittato della delusione popolare per riprendere il potere con un colpo di stato il 3 luglio arrestando il Presidente Morsi e tutti gli esponenti di spicco dei Fratelli Musulmani.
QUALE SCENARIO – Le rivolte arabe sfociate nel nord mediterraneo (Tunisia, Libia ed Egitto) ed in Medio Oriente (Siria e Bahrein) hanno generato guerre fratricide (Libia e Siria), instabilità politica e nuova povertà.
Partendo da occidente la Tunisia, la prima a ribellarsi, ha recentemente dimissionato il governo musulmano moderato accusato dell’uccisione di alcuni esponenti dell’opposizione e sta cercando faticosamente di costruire un governo di pacificazione. La Libia è nel caos. Non si sa chi comandi e ha dovuto persino importare petrolio lo scorso mese. La Siria è in piena guerra civile con oltre 90.000 morti in due anni ed un Paese distrutto in mano a bande di ribelli estremiste e non organizzate. Ci sono poi focolai di crisi anche in Libano.
E l’Egitto ? I rischi di finire come la Libia o la Siria si stanno accentuando. Il Governo militare ha il consenso della popolazione e 12mld di dollari prestati dall’Arabia Saudita che ha sempre temuto i rapporti di Morsi con Teheran. Il denaro serve però per prendere tempo ed è necessaria anche una gestione politica e non solo militare della crisi. I militari non possono infatti pensare di estromettere od eliminare fisicamente gli esponenti ed i sostenitori del precedente governo in quanto troppo numerosi e anche democraticamente eletti.
Il Paese è spaccato in 3 fazioni: l’esercito, ora al potere, i musulmani moderati ed estremisti ed una terza parte che vorrebbe cambiare pagina pensando di cancellare entrambi dalla vita politica.
Il gioco si fa duro e le riaccese schermaglie di inizio ottobre confermano che la partita sarà lunga e anche sanguinosa. I generali rischiano infatti di fare lo stesso errore di Morsi. Hanno il consenso e lo devono sfruttare per fare le riforme attese senza dimenticarsi che le “primavere arabe” sono sbocciate per denunciare ingiustizie sociali e grandi povertà.
Grosse responsabilità vanno anche attribuite ai governi occidentali che hanno per anni difeso e fatto grandi affari con questi “rais” che altro non erano che proprio e veri dittatori e tutto in nome della stabilità politica (Libia con Gheddafi, Egitto con Mubarak, Siria con Assad e Tunisia con Ben Ali) per poi scaricarli velocemente quando già stavano cadendo per saltare sul nuovo carro del vincitore senza sapere quale fosse. E’ accaduto in Libia dove si è intervenuti addirittura militarmente e lo stesso errore stava per essere commesso in Siria questa estate ed in Egitto dove la situazione è scappata di mano nel passaggio tra Mubarak, esercito, Morsi ed ancora l’esercito.
Un caos totale molto destabilizzante dove l’Occidente ha staccato la spina forse per concentrarsi sui problemi economici domestici ma anche con molta miopia. Oggi parliamo di stragi dell’immigrazione per persone che arrivano quasi esclusivamente da queste regioni in guerra e disperate.
Intanto si fanno già alcuni conti. La banca inglese HSBC stima la primavera araba costerà ai Paesi interessati almeno 800mld di dollari includendo anche la previsione per il 2014.