Venerdì di passione a Wall Street dopo un lungo periodo estivo di assoluto immobilismo, che ha risvegliato di colpo i ribassisti, costretti ad una lunga agonia dall’euforia per il continuo paracadute costruito dalle Banche Centrali, causa dell’azzeramento dei tassi di interesse ad un livello impensabile e per un periodo troppo esteso.
Il mercato azionario americano si è risvegliato dal sogno ed ha ceduto di schianto, tornando al di sotto dei precedenti massimi assoluti, registrando la peggiore seduta dal 24 giugno, quella del post Brexit.
La congestione sui massimi assoluti per l’indice azionario americano più importante – lo S&P500 – durava da metà luglio. Oltre quarantatre sedute con variazioni quotidiane inferiori al punto percentuale con il listino compresso tra 2.146 e 2.194 punti: solo 48 punti di differenza, ossia poco più del due per cento di escursione per due mesi di sedute.
Diversi sono stati gli indicatori di allerta, che il mercato ha ignorato nel periodo estivo, confidando nella ripresa della crescita economica USA, che avrebbe permesso di posticipare ancora l’eventuale rialzo dei tassi statunitensi.
Il massimo raggiunto proprio a Ferragosto, sfiorando quota 2.200 punti, non ha trovato riscontro nemmeno nei fondamentali delle aziende, i cui utili stanno continuando a calare, mentre ripartono copiosi i licenziamenti.
La compiacenza degli investitori, coccolati dall’atteggiamento sempre espansivo della Federal Reserve e delle altre Banche Centrali, è stata presa in contropiede dalla repentina discesa degli indici, gli stessi che da oltre sette anni faticano a scendere e recuperano velocemente qualsiasi fase di debolezza, considerata l’ennesima opportunità di acquisto.
E’ evidente, tuttavia, che le valutazioni azionarie così generosamente raggiunte non sono confermate da prospettive di miglioramento degli utili, che da cinque trimestri consecutivi sono in calo e la cui striscia potrebbe allungarsi fino a sei ad ottobre, come stanno declinando la maggior parte delle banche di investimento mondiali.
Solo i tassi di interesse, ancora schiacciati a quota zero per un lungo periodo di tempo, potrebbero sostenere questi livelli di valutazione.
L’equilibrio dell’illusione si è perlomeno incrinato a fine della scorsa settimana, in scia alle parole inconcludenti di Draghi e dei membri del board della Federal Reserve. Le banche centrali hanno finito le munizioni che, oltretutto, si sono dimostrate poco efficaci. La realtà mostra, infatti, che le politiche monetarie ultra espansive, attuate con ogni mezzo, non hanno prodotto grandi benefici. Al contrario, cominciano ad evidenziarsi effetti collaterali, che alcuni economisti considerano più nocivi dei benefici delle politiche attuate.
Anche all’interno della FED, lo scontro tra falchi e colombe si incrementa. Se è vero che i dati usciti nelle ultime settimane porterebbero ad escludere un rialzo dei tassi la prossima settimana, i falchi evidenziano i pericoli del protrarsi del lassismo monetario. Pertanto, sebbene non molto probabile prima della scadenza elettorale di novembre, non si può escludere che la prossima riunione FED possa partorire un rialzo dei tassi in un contesto di indebolimento economico. La Fed è pertanto con le spalle al muro, ma sembra decisa a mantenere la promessa di normalizzazione fatta a fine 2015, quando venne invertita la direzione della politica monetaria, non potendo ammettere di aver sbagliato decisione e previsioni.
Gli equilibri dei mercati, già provati dall’incertezza di Draghi, sono saltati sulla dichiarazione del falco Rosengreen, il Presidente della Fed di Boston, che vede già pericoli di crescita eccessiva e di arrivo dell’inflazione.
Tutto d’un tratto, i mercati sembrano aver capito che per fermare la FED per un lungo periodo dovrebbero arrivare notizie economiche assai negative, in grado di neutralizzare l’aspettativa di un rialzo dei tassi di interesse, ormai l’unico spauracchio dei mercati azionari.
In aggiunta, le notizie negative sia politiche che economiche a livello planetario non mancano e potrebbero versare ulteriore benzina sulla brace già accesa.
Rimanendo agli Stati Uniti, ci sono le elezioni presidenziali con due candidati poco amati dalla popolazione e poi si scivola in America Latina con le due gravi crisi economiche in Venezuela e Brasile. In Asia, l’attenzione è focalizzata sulle due Coree: la parte comunista ha effettuato il suo quinto test nucleare, il più potente della sua storia, , mentre il fallimento di una delle principali compagnie di trasporto navale mondiale, la sud-coreana Hanjin, (con 85 navi piene di container che vagano senza poter attraccare con un carico stimato di 14 miliardi di merci che non possono essere consegnate) sta penalizzando il trasporto marittimo mondiale. Infine, la Cina ed il Giappone sono economie con crescita in calo e molto sovvenzionate anch’esse da una bolla creditizia spaventosa, che potrebbe velocemente diventare un pericoloso boomerang con un effetto domino mondiale.
La correzione dei mercati azionari ed obbligazionaria che si è aperta a Wall Street alla fine della scorsa settimana potrebbe essere piuttosto significativa e contagiare il resto delle borse, come effettivamente è già successo stamane in Asia.
Anche l’Europa non potrà sottrarsi alla discesa. Il destino dei mercati azionari è come sempre nelle mani di Wall Street, che ha spesso dimostrato negli ultimi anni una capacità di ripresa inaspettata, quando ormai sembrava sull’orlo della capitolazione.
L’orso sembra aver aperto almeno un occhio, ma saranno necessari diversi scossoni per risvegliarlo definitivamente da un pluriennale letargo.