Thursday 21st November 2024,
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CINA – L’ANELLO DEBOLE DELL’ECONOMIA MONDIALE

La crescita mondiale rallenterà quest’anno e forse anche nel 2020, secondo tutte le previsioni dei principali osservatori economici.

Tale scenario è particolarmente evidente nel Vecchio Continente, in crescita piatta con alcuni Paesi importanti, quali Italia e Germania, già in recessione tecnica dal secondo semestre del 2018.

Tuttavia, il rischio più significativo per la stabilità mondiale nei prossimi anni arriva dalla Cina.

La prima economia asiatica, seconda solo al Giappone per Pil pro capite, ha evidenziato una crescita troppo rapida da inizio millennio, creando squilibri strutturali che governo e Banca Centrale sono ora costretti a tamponare con urgenza per evitare, pericolose ricadute non solo sull’economia domestica ma anche planetaria.

In aggiunta, i dati macro economici che arrivano da Pechino confermano un preoccupante rallentamento, mentre quelli ufficiali scontano oramai un eccessivo ottimismo di facciata.

Nel 2018 il Pil domestico è cresciuto al tasso del 6,6%, il più modesto degli ultimi venti anni e secondo autorevoli economisti, anche locali, la crescita effettiva si attesta alla metà del valore o potrebbe addirittura avvicinarsi allo zero, tali e tanti sono i segnali evidenti di rallentamento dell’economia del dragone.

Indipendentemente dalla veridicità dei numeri pubblicati, il Pil cinese è in costante discesa dal 2011 e tale trend proseguirà anche nel 2019, con una previsione governativa del +6%.

 

IL MERCATO AZIONARIO

Dopo diversi anni di sofferenza, alleviati da aiuti governativi in sostegno a quotazioni in caduta libera, la Borsa di Shanghai ha trovato un nuovo impulso da inizio anno, facendo registrare una crescita superiore al 20%. Tuttavia, il rimbalzo è solo lievemente superiore, ma non troppo dissimile, da quello registrato dalle principali Borse mondiali dal 26 dicembre ad oggi.

 

LE SFIDE FUTURE

La prima è quella di spostare la domanda dall’export e dalla manifattura verso i servizi ed i consumi domestici.

Le stime della Banca Mondiale auspicano che entro il 2030 i servizi dovrebbero salire dal 43% del Pil attuale fino al 60%, mentre i consumi dal 50 al 60%.

La seconda si concentra, invece, sullo spostamento di parte delle produzioni verso Paesi limitrofi, con un costo del personale inferiore rispetto a quello domestico in costante aumento.

La terza è la riforma del settore privato con il passaggio ad un’economia sempre meno statalizzata e più di libero mercato e meno sovvenzionata da fondi pubblici.

Infine, per assicurare una crescita sostenibile, la Cina deve spostarsi verso un modello più verde ed eco ambientale.

 

LE TENSIONI COMMERCIALI

La crescita sostenuta degli ultimi trent’anni è stata facilitata dal basso costo del lavoro domestico e da barriere interne alle importazioni o all’obbligo delle aziende straniere di lavorare in joint venture con le aziende domestiche.

Il risultato è stato un’inondazione di prodotti a basso prezzo in tutto il mondo, dall’Europa agli Stati Uniti, che hanno portato ad una deflazione strisciante e difficile da combattere anche con politiche monetarie ultra espansive e non convenzionali.

Trump ha deciso di opporsi a questa politica ed ha imposto l’applicazione di nuovi dazi, che hanno avuto ripercussioni sull’importazione di prodotti cinesi negli USA e sulla crescita dell’economia asiatica.

La Cina respinge le accuse al mittente di dumping e concorrenza sleale, ma non ha il coltello dalla parte del manico e sta scendendo a patti con il partner commerciale americano, per trovare una soluzione che non la penalizzi eccessivamente in un momento di evidente rallentamento sia interno che mondiale.

 

LE BANCHE OMBRA, IL DEBITO e LA BOLLA IMMOBILIARE

Un’altra area di forte preoccupazione resta la crescita del debito non finanziario realizzato nell’ultimo lustro attraverso società satelliti in un circuito parallelo a quello bancario. Alcune di queste realtà sono già fallite e lo stato è intervenuto per evitare una crisi di liquidità nel sistema finanziario interno.

Parliamo di numeri assolutamente esigui, ma che preoccupano le autorità centrali non per la loro dimensione attuale, ma per il potenziale di nuovi default, viste le scadenze di obbligazioni high yield che dovranno essere rimborsate nel prossimo biennio.

Altro pensiero è l’entità del settore immobiliare, che ha raggiunto un’incidenza pari al 20% del Pil, con un invenduto che ha superato i 50 milioni di unità in tutto il Paese e con i prezzi che stanno cominciando a scendere anche in alcune importanti città.

Gli ultimi segnali di rallentamento sono legati alla contrazione del settore auto nel 2018, per la prima volta in 30 anni da quando è iniziata la serie storica di valutazione ed al problema demografico.

La Cina ha sì una popolazione “ufficiale” di 1,3 miliardi di persone, ma registra un’inversione già dal 2017 con una decrescita demografica (calo di 1,5 milioni di unità) ed un progressivo invecchiamento della popolazione, che ha portato ad una contrazione anche della popolazione lavorativa nello scorso anno superiore al mezzo milione di persone.

Sulla base delle precedenti considerazioni, indipendentemente dalla realtà più o meno manipolata, la crescita cinese, sfrenata ed a doppio cifra dei precedenti decenni, sarà solo un lontano ricordo nei prossimi anni e comunque irripetibile agli stessi ritmi anche con qualsiasi tipologia e quantità di stimolo, sia fiscale che monetario che governo o banca centrale decidano di mettere in campo.

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