STORIA – Era l’anno 2002 quando un operaio ed ex sindacalista vinse le elezioni presidenziali al quarto tentativo. Lula da Silva ha governato per due mandati consecutivi riuscendo nel 2010 a far eleggere la sua prescelta candidata la ex guerrigliera Rousseff.
Le perplessità della comunità finanziaria internazionale che nel 2002 temeva che una politica populista avrebbe potuto provocare il default sul debito brasiliano si dissolse nei primi mesi della nuova presidenza che si confermò ampiamente democratica. Gli anni successivi furono di forte sviluppo e hanno consentito la riduzione della povertà, la formazione di una nuova classe media ma non l’eliminazione delle diseguaglianze e dei grossi contrasti che continuano a caratterizzare la più grande economia dell’America Latina.
LULA e LE OCCASIONI PERSE – Un decennio di crescita economica oltre il 5% medio annuo e la recessione mondiale post 2008 che non ha lasciato strascichi consentendo di superare il 7% nel 2010. In questo periodo la percentuale dei brasiliani inclusi nella “middle class” è passata dal 33% ad un incredibile 51% della popolazione. Sulle ali dell’entusiasmo il Brasile ha ottenuto l’organizzazione dei mondiali di Calcio nel 2014 e le Olimpiadi nel 2016, una incredibile doppietta. Poi l’inizio di un declino che per ora sembra inarrestabile: +0,9% nel 2012 e 2,2% quest’anno, tassi modesti per un Paese emergente che fa parte dei cosiddetti BRIC (Brasile, Russia, India e Cina).
LA BOLLA CREDITIZIA – Tutto si spiega quando andiamo ad analizzare i tassi di indebitamento delle famiglie associati alla politica economica applicata dal governo Lula per stimolare l’economia. Il governo ha infatti facilitato ed incentivato l’accesso al credito ad una fascia di popolazione (circa 20mln) che non ne aveva mai potuto beneficiare non avendo i requisiti. Nulla di nuovo rispetto a quanto già fatto da altri capi di stato quali Reagan o Zapatero solo per fare alcuni esempi tra i più evidenti, con i risultati disastrosi che già conosciamo e ancora rimangono sui bilanci familiari.
Le banche hanno aperto quindi i rubinetti ma la politica economica ha commesso i suoi errori. Si è crogiolata sulla crescita dei consumi pensando che potesse essere infinita continuando a generare nuova ricchezza anche per i più poveri “(Reaganomics docet”) o che perlomeno divenisse strutturale. Poche risorse sono state dedicate ad incrementare l’export evitando l’apprezzamento della valuta indotta dal forte afflusso di capitali stranieri desiderosi di partecipare alla festa. Questi nuovi denari sono però stati convogliati quasi esclusivamente in attività finanziarie ed immobiliari con prezzi che in alcuni città sono anche triplicati in un decennio ed infine anche nel settore petrolifero. Il Brasile investe solo l’1,5% del PIL in infrastrutture, rispetto al 4% di altri Paesi emergenti, ed ha una carenza cronica di mezzi di comunicazione moderni tra porti ed autostrade in grado di esportare le proprie materie prime a prezzi competitivi per i produttori.
Il costo della vita a San Paolo e Rio de Janeiro è superiore a quello di New York o di Milano e il livello di criminalità è uno dei più elevati al mondo.
La corsa ai consumi ha provocato una risalita dell’inflazione fino al 6%. La Banca Centrale è stata costretta più volte ad alzare i tassi fino al 9,5% (ultimo il 9 ottobre di mezzo punto percentuale). Gli scettici prevedono una salita in doppia cifra nel 2014 come oltre un decennio fa quando gli elevati tassi e la iperinflazione penalizzavano i tassi di crescita economica.
In aggiunta la bolla creditizia è già scoppiata con le sofferenze al 5,8% sul totale dei prestiti, un livello ancora modesto rispetto alle allucinanti medie dei Paesi mediterranei ma ben superiore a quasi tutti i Paesi emergenti più avanzati (Messico, Turchia e Russia). Molto più preoccupante è la percentuale di credito al consumo rispetto al Pil che supera il 25%, raddoppiata nell’ultimo quinquennio. Con tassi di interesse così elevati e le restrizioni sul credito che le Banche stanno applicando dopo anni di manica larga restituire un prestito e soprattutto ottenerne nuovi sarà una impresa sempre più impegnativa per i brasiliani.
QUANTITA’ e QUALITA’ DEL CREDITO – la percentuale dei debiti commerciali e al consumo erogate dalle banche brasiliane è pari al 55% del PIL, un livello giudicato comunque sostenibile in caso di shock finanziario. Inoltre le banche risultano ben dotate dal punto di vista patrimoniale.
Diversa la situazione della qualità dei crediti erogati. Anche gli americani sono fortemente indebitati ma l’80% dei prestiti personali riguardano mutui erogati per acquistare la casa, un bene che si può sia deprezzare ma anche apprezzare e una volta pagato diventa parte del patrimonio familiare. Nel Paese sudamericano la percentuale è la stessa ma è utilizzata per acquistare auto e beni per la casa (televisori, frigoriferi, condizionatori) che la nuova classe media ancora non possiede o vuole rinnovare con modelli più evoluti. Nel 2012 sono stati vendute 2,9mln di nuove autovetture, il 130% in più rispetto allo scorso decennio. Questi beni si deprezzano velocemente e devono essere sostituiti e finanziati con altri prestiti. I finanziamenti auto hanno raggiunto a fine anno i 70mld di dollari, il triplo rispetto al 2004.
ROUSSEFF, IL BRASILE OGGI e LE MOLTE SFIDE – Al terzo anno di presidenza la signora Rousseff si trova ad affrontare una crescita economica troppo bassa (2,4% è la stima per il 2014) e soprattutto crescenti manifestazioni di piazza che contestano le spese per l’organizzazione dei due eventi sportivi mondiali ma soprattutto richiedono riforme, ammodernamento delle infrastrutture (scuole, ospedali, strade, etc..) e lotta ad una corruzione sempre più dilagante.
Questa è la sfida del Presidente che nel 2014 cercherà la rielezione per un secondo mandato quadriennale. Il Brasile siede su riserve valutarie di 372mld di dollari, dieci volte rispetto ad inizio millennio e possiede notevoli giacimenti di materie prime molto esportate nei Paesi asiatici. Un altro punto a favore è l’unità etnica della popolazione da non disprezzare rispetto alle differenze multirazziali o religiose che dividono Paesi quali la Turchia, il Sud Africa e l’India.