Le Banche centrali mondiali sono coinvolte in una folle competizione che finirà molto male. Mi riferisco alla gara, o meglio alla guerra a svalutare il più possibile la propria divisa nazionale, che viene realizzata attraverso la stampa di sempre ulteriore moneta creata dal NULLA …!!
Quasi settimanalmente registro comunicazioni di diverse banche centrali, sparse per il mondo, che accelerano la loro velocità di creare nuova moneta. Sono ormai convinte, o forse così disperate, di risolvere i problemi economici dei loro rispettivi Paesi solo stampando nuovo denaro. Sono invece in grave errore.
La Federal Reserve conduce questa scriteriata classifica creando 85mld di dollari ogni mese (fanno oltre un trilione di dollari in un anno..!!), con la speranza di portare crescita nell’economia americana. Questa strategia però non ha coinvolto la grande massa della popolazione. Coloro infatti che ne hanno beneficiato sono state le grandi banche che hanno registrato profitti strabilianti nell’ultimo triennio, Wall Street (vale a dire i mercati finanziari) ed i ricchi. Una sorta di trickle down economy, riesumando il dogma della “Reaganomics”: la politica dello “sgocciolamento” con più ricchezza ai benestanti che si travasa anche sui meno abbienti attraverso nuove assunzioni, aumento dei redditi e consumi in crescita. Nulla di tutto questo si è visto in questo periodo. Ad inizio degli anni ‘80 quando i “Reagan boys” implementarono questa dottrina economica, il debito privato era molto contenuto, quasi inesistente e l’accesso al credito fece da volano all’economia. Oggi, al contrario, gli americani annegano nei debiti che stanno cercando di ridurre con esito incerto, oppure né contraggono di nuovi per pagare quelli esistenti. Con una sostanziale differenza: trent’anni fa il debito veniva utilizzato per investimenti e consumi (il cosiddetto debito buono), nel terzo millennio invece per cercare di mantenere una qualità di vita finanziariamente insostenibile, costruita per il cittadino americano sul motto “del tutto a debito” dalla casa, all’auto, alle università dei figli. Senza tornare poi molto indietro con la macchina del tempo la classe media e quella più disagiata vivono in condizioni economiche più precarie rispetto al 2007, prima dello scoppio della crisi. Nulla di diverso da quello che è accaduto in quasi tutte le economie occidentali, Italia compresa.
Chiusa la parentesi torniamo alla FED. Il 18 dicembre ci sarà il solito mensile tormentone sull’avvio o meno del Tapering. La Banca Centrale è ormai in un vicolo cieco costretta a proseguire nella politica monetaria non convenzionale sia perché finora inefficace, ma soprattutto per evitare che le bolle finanziarie create (obbligazioni, azioni, materie prime e immobili) scoppino una dopo l’altra o contemporaneamente, provocando un crollo difficile da gestire.
La FED è incastrata in una situazione che i manuali di economia indicano come la trappola della liquidità, nella quale il denaro creato (siamo arrivati nei giorni scorsi ai 4 trilioni di dollari) non si trasmette all’economia di strada (Street economy) ma si incanala nelle attività finanziarie (WallStreet, settore immobiliare, etc..). Si sono così accentuate le diseguaglianze tra la classe agiata che ha usufruito del denaro facile a basso costo e coloro invece che hanno meno disponibilità e non ricevono neanche gli spruzzi di questa gigantesca onda di denaro, ma conducono una esistenza con maggiori ristrettezze economiche rispetto all’inizio della crisi.
Molte sono dunque le aspettative che la Banca Centrale comunichi in modo definitivo i tempi di riduzione degli acquisti di titoli di stato e di bond ipotecari, già dalla riunione di domani. L’attivo del bilancio della Fed ha ormai raggiunto il 22% del Pil degli Stati Uniti, una cifra impressionante anche se inferiore alla percentuale della Bce (24%) ed a quella stratosferica della Banca del Giappone (44%).
Gli obiettivi prefissati dall’autorità monetaria nel raggiungimento di un tasso di inflazione al 2% e di quello della disoccupazione al 6,5% sono completamente deragliati. I monetaristi più integralisti sostengono che sono necessarie altre campagne di “printing money” per raggiungere il traguardo, mentre gli oppositori ribattono che sono maggiori i danni collaterali all’economia rispetto ai vantaggi.
Dopo l’inaspettata marcia indietro del 22 settembre, quando oltre i due terzi degli economisti si attendevano l’annuncio del tapering, è difficile fare nuove previsioni. Avere la prima banca centrale al mondo con una potenza di fuoco ancora impressionante, ma poco efficace è forse anche controproducente ed assai inquietante.
Di seguito i principali motivi per i quali la FED è restia a ridurre l’intervento sul mercato monetario:
– Crollo delle Borsa americana: i listini azionari volano grazie alla liquidità eccessiva nel sistema finanziario e, mai come in questo periodo, sono così disallineati dai fondamentali macroeconomici ed aziendali.
– Scoppio della bolla immobiliare: l’attuale ripresa è artificiale in quanto alimentata dai tassi sui finanziamenti ai minimi storici.
– Acquisto dei Treasury (titolo decennale USA). La FED sta comprando il 77% delle nuove emissioni. La Cina e altre economie più piccole si sono recentemente defilate dall’acquisto di ulteriori quantitativi di titoli governativi statunitensi, preferendo accumulare nuove riserve aurifere. Se la FED toglie il piede dall’acceleratore chi acquisterà i bond governativi e a quale livello saliranno i rendimenti in caso di richiesta debole da parte del mercato ? Sottolineo che gli USA hanno ad oggi un debito pubblico di 17.225 miliardi di dollari che qualcuno deve in qualche modo finanziare…
– Tassi di interesse: se la Banca Centrale acquisterà meno titoli di stato i rendimenti saliranno e l’economia americana, in una fase di così debole ripresa, tornerebbe velocemente in recessione.
– Dollaro: si rafforzerebbe con meno denaro stampato, danneggiando le esportazioni.
– Mercato obbligazionario: dopo trent’anni di continua rivalutazione, il rialzo dei tassi potrebbe accentuare la correzione già in atto sul valore delle obbligazioni mettendo in difficoltà tutte la categorie di emittenti – aziende, comuni, contee e stati – che dovranno finanziarsi a rendimenti più elevati.
– Mercati emergenti: se viene a mancare la liquidità della FED, gli investimenti nei Paesi emergenti crollano mettendo in discussione la stabilità finanziaria di alcuni di essi (Tailandia, Indonesia ed India).
Cinque anni di quantitative easing non sono ulteriormente sostenibili e la FED, proprio nel momento del cambio del suo timoniere, è ad un bivio drammatico: proseguire a testa bassa nella attuale politica di sostegno infinito, o staccare la spina sperando che l’economia possa proseguire a crescere con le proprie forze.
L’economia non va necessariamente meglio perché supportata dal quantitative easing in quanto non si prende a prestito il denaro solo perché i tassi sono bassi.
La Fed ci sta dando una versione diversa di come sta andando l’economia ma non può cambiare il corso della stessa.
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