Le ultime indiscrezioni trapelate presentano l’Argentina in crescita negativa nel primo trimestre 2014. Sarebbe il primo trimestre in recessione dal terzo trimestre 2012, quando il prodotto interno lordo scese del -0,9%.
Parliamo di recessione, vale a dire di almeno due trimestri consecutivi di crescita negativa, in quanto, come sappiamo, non c’è trasparenza sui numeri che escono dal ministero delle finanze argentino, già da diversi anni. Se infatti l’economia ha iniziato a contrarsi ora, ciò non significa che stesse crescendo nei due anni precedenti, malgrado la propaganda populista del Governo. Il report è pubblicato infatti dall’agenzia nazionale di statistica, mentre le stime di Bloomberg e Reuters parlano di crescita rispettivamente al +0,8% ed al +0,4%. La discesa del Pil coincide con il trimestre della svalutazione del peso (-20%) e dell’incremento dei tassi di interesse, quasi a dimostrare che la recessione diversamente non si sarebbe manifestata.
L’Argentina è un paese di 41 milioni di abitanti, ricco di risorse naturali (minerali, gas, petrolio, acqua, sole e vento, terre coltivabili). La sua economia si basa sull’agricoltura e l’allevamento per circa il 10% del PIL, sull’industria per il 35% e sui servizi per il 55%.
Negli anni 2003-2011 l’Argentina ha conosciuto tassi di crescita elevati (media del 7-8% annuo), anche grazie agli alti prezzi internazionali delle materie prime agricole, come la soia. Nel 2012 il panorama economico è radicalmente cambiato: secondo i dati ufficiali, il PIL è stato del +1,9% (+8,9% nel 2011), nonostante la messa in atto di politiche monetarie e fiscali di carattere espansivo. La crescita nel 2013, secondo la nuova metodologia di calcolo introdotta dall’Esecutivo nel marzo 2014, è stata del 3%. Soprattutto nel secondo semestre 2013, i consumi interni si sono contratti a causa di una accelerata inflazione ed una riduzione della produzione industriale. Per il 2014 si prevede una crescita di circa l’1%, a causa di una ulteriore riduzione dei consumi privati (in seguito alla perdita del potere di acquisto dei salari) e di un ulteriore irrigidimento delle politiche fiscali e monetarie, allo scopo di ridurre la pressione inflazionistica.
Per quanto riguarda l’inflazione, il governo ha presentato un nuovo indice dei prezzi al consumo. Nel primo bimestre 2014 il tasso tendenziale è stato del 7,2%, con una proiezione per il 2014 che si aggira intorno al 40%, superiore al 30% del 2013 (fonte: istituti privati).
Il tasso di disoccupazione ufficiale per il 2013 è stato del 6%, sebbene l’IDL (Indice de Demanda Laboral per l’area di Buenos Aires) elaborato dalla Universitá Di Tella indichi 10,9% a febbraio 2014, rispetto allo stesso mese del 2013. Particolarmente colpito è il settore automobilistico, in seguito alla maggiore tassazione e contrazione della domanda dal Brasile (principale mercato di esportazione argentino). Il peggioramento delle condizioni del mondo del lavoro sta riducendo il potere contrattuale dei lavoratori, i quali per il rinnovo dei contratti richiedono aumenti di circa il 30%.
La bilancia commerciale nel 2013 ha realizzato un surplus di circa 9 miliardi di dollari USA, con una riduzione del 27% rispetto al risultato del 2012 (12,4 miliardi di dollari USA), con le esportazioni ed importazioni argentine cresciute rispettivamente del 2,6% e 8% nel 2013. Nel primo bimestre 2014 il saldo é stato di 79 milioni di dollari USA, il risultato più basso degli ultimi 14 anni, a causa di una riduzione delle esportazione di beni primari ed una crescente spesa in importazioni di combustibili.
Che cosa avrebbe pertanto provocato la caduta del Pil, secondo il rapporto pubblico ?
Primo: il Brasile. La prima economia del Sudamerica, principale partner commerciale dell’Argentina, ha visto ridursi drasticamente i suoi tassi di crescita da una media di oltre il +7% nel triennio 2010-12 al +4% del 2013, mentre le previsioni per l’anno in corso registrano un modesto +1,8%. E’ evidente che la debolezza dell’economia carioca si è riflessa anche su quella argentina.
Secondo: aumento dei tassi di interesse. La manovra, resa necessaria per mitigare l’effetto della svalutazione e controllare l’inflazione già elevata, ha danneggiato i consumi, già indeboliti dalla stagnazione economica.
Terzo: restrizioni alle importazioni. In cronica carenza di dollari, il Governo, già dallo scorso anno, ha imposto limitazioni all’acquisto di prodotti importati in valuta. Molti beni, in particolare nel settore dell’elettronica e tecnologico, sono introvabili nei grandi magazzini e la misura incentiva il contrabbando e l’acquisto di valuta pregiata sul mercato nero.
E’ evidente che tutte queste componenti hanno influito negativamente sulla crescita economica argentina. Tuttavia, è difficile credere che l’economia fosse così brillante dal terzo trimestre 2012, come le statistiche hanno diffuso, soprattutto in presenza di elevati tassi di disoccupazione, deprezzamento della valuta, (perlomeno al cambio nero), scioperi, proteste e aumento della criminalità. La realtà economica è infatti ben diversa e chi ha vissuto nel Paese negli ultimi due anni può confermare il clima di disagio, che non si riflette nei numeri della propaganda politica peronista, tipicamente populista.
Non sorprende pertanto che il Governo abbia ammesso nei giorni scorsi di aver “sovrastimato” i dati sulla crescita economica dal 2007 al 2013 per fronteggiare le minacce del Fondo Monetario Internazionale, che contestava a Buenos Aires di manipolare costantemente i dati sull’inflazione, dichiarati al +10%, contro stime private ad almeno il +25%.
Ovviamente il termine “sovrastimato” va tradotto in palesemente gonfiato, in quanto le differenze sono molto più sostanziali che marginali. La revisione della crescita del 2008 è stata infatti più che dimezzata dal +6.8% all’attuale +3.1%.
Pertanto, assumendo che i nuovi dati statistici siano corretti e che l’economia abbia cominciato di nuovo a contrarsi, che cosa significa per le future prospettive del Paese ?
E’ evidente che questa conferma statistica giunge in un periodo già delicato, con una inflazione elevata ed un tasso di disoccupazione in aumento. Tutto questo accade mentre le riserve valutarie del Paese continuano a depauperarsi (-28% nell’ultimo anno) a soli $28.4 miliardi. Ormai la stampa economica locale e quella finanziaria internazionale confermano che l’economia sudamericana sia già in recessione, dopo che anche il dato di crescita dell’ultimo trimestre 2013 è stato rivisto in negativo.
Dunque nulla di nuovo per l’Argentina, Paese ancora segnato dalla grave crisi economica che seguì il default sul debito pubblico del 2001 per $95 miliardi e che minò la credibilità internazionale della seconda economia dell’America latina. Ora i decantati recuperi dal Governo nell’ultimo decennio sono evaporati come neve al sole ed il Paese si ritrova ad affrontare l’ennesima emergenza economica. Sembra almeno che il Governo abbia preso coscienza della gravità della situazione, smettendo di mentire, almeno così smaccatamente, ed incominciando ad agire per combattere la crisi ed evitare un nuovo probabile default. Forse non basterà, ma una maggior trasparenza è sicuramente un buon punto di partenza, anche per gli investitori internazionali, ormai troppo diffidenti.