La spumeggiante partenza degli indici azionari nel mese di gennaio lasciava presagire la replica del 2017, un anno da incorniciare per diversi listini in rialzo inaspettatamente anche del venti per cento già in scia a diversi anni di continui rialzi.
La prima settimana di febbraio, al contrario, ha rappresentato un brusco risveglio, riaccendendo qualche dubbio sulla sostenibilità di questo lunghissimo “bull market”.
La principale ragione di questa discesa è riconducibile all’impennata dei tassi di interesse statunitensi, i quali hanno ricominciato a salire, per quanto da livelli assai modesti, diventando un elemento di destabilizzazione della quiete e della sicurezza profusa dalle Banche Centrali negli anni passati.
Quasi di colpo, molte Banche Centrali sembrano essersi rese conto che i tassi di interesse si trovano a livelli troppo bassi rispetto ad almeno i seguenti elementi:
- La crescita economica
- Le aspettative di inflazione
- Il rischio di una nuova recessione
LA CRESCITA ECONOMICA
Il 2017 e le previsioni per l’anno in corso sono molto confortanti per molti Paesi sviluppati. In base ai dati del Fondo Monetario Internazionale solo nove Paesi su 206 saranno ancora in recessione nel 2018 e tutti di entità trascurabile, visto che anche il Brasile dovrebbe registrare una crescita positiva.
Gli Stati Uniti sono cresciuti al ritmo del tre per cento nel secondo e terzo trimestre 2017 e poco al di sotto nell’ultimo periodo dell’anno. Si tratta della crescita più sostenuta dal 2005, mentre l’Europa (area euro) registra il maggior incremento dalla Grande Recessione.
LE ASPETTATIVE DI INFLAZIONE
Per quanto ancora contenuti, i prezzi al consumo sono in crescita ovunque. L’obiettivo delle Banche Centrali di raggiungere almeno il due per cento di inflazione è stato già raggiunto in alcuni Paesi. All’aumento dei prezzi delle materie prime sembra aggiungersi ora quello da salari, in particolare negli Stati Uniti. In questo Paese, il mercato del lavoro mostra segni di sovra riscaldamento con il tasso di disoccupazione stabile da mesi al 4%. L’ultimo report sul mercato del lavoro di gennaio ha mostrato un aumento dei salari orari, mettendo in difficoltà la Federal Reserve, che è ora costretta ad accelerare il ritmo di rialzo dei tassi. qualora tali pressioni venissero confermate nei prossimi mesi.
IL RISCHIO DI UNA NUOVA RECESSIONE
Sebbene la crescita delle economie sviluppate sia solida ed ai massimi dell’ultimo decennio, l’attuale ciclo economico – uno dei più longevi di sempre – è arrivato al suo apice.
La Fed ne è pienamente consapevole ed i mercati sono sempre dei grandi anticipatori con un periodo di incubazione tra i sei ed i nove mesi.
LA VIOLENTA DISCESA DEI MERCATI
Diverse sono le risposte:
- Dopo nove anni di rialzo una pausa è salutare
- I tassi di interesse stanno risalendo velocemente
- I multipli delle società quotate sono i più alti di sempre
- I mercati non registravano una correzione superiore al 5% dal gennaio 2016
- La volatilità era scesa ad un livello troppo basso per un periodo eccessivo, un segnale di cambiamento di trend dei mercati
- Le Banche Centrali stanno cambiando lentamente strategia, iniziando a drenare liquidità dai mercati finanziari, i quali non apprezzano questa inversione di rotta
IL NUOVO SCENARIO
Nove anni di rialzi con poche pause possono creare violenti scossoni e picchi estremi di volatilità, come quelli sperimentati da Wall Street a cavallo del weekend.
In aggiunta, la discesa contemporanea sia del mercato obbligazionario che azionario è un elemento anomalo, che raramente si era verificato in passato e mai ripetuto per diverse sedute consecutive.
L’inizio di un “bear market” per i bond potrebbe, in questo caso, scatenare un cambio di trend anche per l’equity, ancora in “mood” positivo, che ha evidenziato segnali evidenti di affaticamento.