Distese infinite e scarsamente popolate con una densità di abitanti concentrata in poche città accomunano queste due economie del Commonwealth situate a latitudini opposte, ma che condividono la produzione di metalli ed una economia molto simile con tassi di crescita robusti e costanti da diversi anni.
In negativo, il boom minerario ha generato una bolla immobiliare non indifferente che mette a rischio anche i reciproci sistemi bancari molto esposti verso il settore nel caso il bubbone dovesse prima o poi scoppiare.
Entrambi i Paesi hanno sperimentato un periodo di crescita florido, ma mentre l’Australia non cade in recessione dal 1991, il Canada ha subito l’impatto negativo dell’andamento dell’economia americana durante la Grande Recessione nel 2009 ed un altro nel 2015, a seguito del crollo delle quotazioni petrolifere del quale è un importante produttore mondiale.
L’economia australiana registra una crescita continua da 26 anni. Solo nell’ultimo trimestre del 1991, il Pil ha evidenziato un segno negativo mentre il Paese presenta la più incredibile espansione immobiliare mai registrata in una economia occidentale con i prezzi delle abitazioni che salgono ininterrottamente da 55 anni. Questa bolla immobiliare è stata inflazionata dal boom delle materie prime che rappresentano un terzo dell’export del Paese e che vengono acquistate in larga misura dalla Cina dalla cui economia l’Australia è diventata molto dipendente da inizio secolo.
Anche nel settore economico trainante diverse ombre si stagliano all’orizzonte. Nello specifico, i prezzi del ferro e del carbone, le prime due materie prime in ordine di esportazioni, sono sensibilmente calati nell’ultimo lustro e non sono stati sufficientemente compensati dai notevoli aumenti dei volumi esportati.
Passando, invece, al settore immobiliare, negli ultimi due mesi si è assistito ad una stabilizzazione dei prezzi delle abitazioni nel continente australe ed in alcuni casi anche ad una leggera discesa (Sidney).
La crescita economica australiana è in declino negli ultimi anni e si sta stabilizzando ad un modesto due per cento, ma solo grazie all’attività mineraria estrattiva che ha sostenuto la ripresa anche nei momenti di incertezza mondiali ed alla politica ultra espansiva della Banca Centrale.
Anche in questa nazione, infatti, i tassi di interesse sono scesi ai minimi storici (1,75%) ed hanno contribuito ad inflazionare la bolla immobiliare.
Tornando alle materie prime, la produzione di carbone tenderà a decrescere, anche sensibilmente, nei prossimi anni in virtù della minore domanda cinese e giapponese attualmente i primi due Paesi importatori di questo fossile. Nuove fonti di energia ed il calo della popolazione nelle prime due economie asiatiche sono la principale ragione della diminuzione delle entrate minerarie prevedibili già dal prossimo anno. Inoltre, l’industria estrattiva sarà presto già in perdita qualora i ricavi continuino a scendere ed i costi si mantengano sugli attuali livelli.
Il miracolo economico è messo in pericolo dalle incertezze dell’industria estrattiva che è scesa dal 19% del Pil negli anni precedenti al 6,8% attuale e continua a decrescere diventando solo la sesta industria del Paese per contribuzione. Le sorti del settore sono strettamente legate all’economia cinese che è a sua volta in crescita decrescente. Di conseguenza, il problema non è se l’economia di Pechino rallenterà ma con quale intensità e velocità.
Con l’uscita di Toyota (2016) e Ford (2017) dal Paese, la vena manifatturiera si è quasi del tutto esaurita. I servizi sono diventati la forza trainante del Pil come in tutte le economie anglosassoni e la manifattura è confinata in una dimensione dal peso ormai irrilevante.
Il taglio di 325 basis points sui tassi di interesse da parte della Banca Centrale dal 2011 in avanti per stimolare l’economia non ha prodotto i risultati sperati ed il deficit è salito al 2,4%.
All’opposto, Il basso costo del denaro ha ulteriormente galvanizzato il mercato immobiliare che si è apprezzato del 6550% dal 1961, diventando il più longevo settore al mondo senza alcuna flessione nelle quotazioni.
Anche l’indebitamento privato è uno dei fattori di preoccupazione, in quanto risulta tra i più elevati al mondo. Già al picco della crisi finanziaria si attestava al 190% del reddito disponibile rispetto al 130% degli Stati Uniti, ma ora ha raggiunto il 220%.
Il sistema bancario è molto esposto verso il settore immobiliare con una situazione che non ha eguali nel mondo occidentale, in virtù dell’elevata concentrazione di mutui rispetto al totale dei prestiti che supera il 60%, quasi il doppio rispetto al Canada che supera il 35% che risulta in terza posizione dietro la Norvegia.
Ad ulteriore aggravante, l’80% di tutto il debito privato è composto da mutui ed è quasi il doppio rispetto al 47% del 1990 ed il cui ammontare è salito a due trilioni di dollari australiani, rispetto ad un Pil di $1,6 trilioni, l’incidenza più elevata al mondo.
Tra le prime dieci società del Paese, sei sono banche e altre tre sono società minerarie.
Sempre i primi cinque Istituti di credito concorrono al 30% della capitalizzazione dell’indice ASX200.
Infine, il reddito privato. I salari sono cresciuti del 1,9% nel 2017, la percentuale più bassa dal 1988 e non possono sostenere la crescita delle quotazioni immobiliari che viene alimentata, invece, attraverso la leva finanziaria.
Non dissimile è la situazione economica del Canada. Il Paese nordamericano ha evidenziato una spettacolare ripresa dal 2015, frutto combinato del rimbalzo dei prezzi delle materie prime ma anche della politica ultra espansiva della Banca Centrale e della svalutazione del dollaro canadese.
La dimensione del settore immobiliare, scesa al 13,2% del Pil rispetto al 19% degli anni precedenti, rimane, tuttavia, la principale fonte di preoccupazione che incombe sul futuro della crescita economica. La situazione non è così dissimile rispetto a quella australiana, anche se meno esplosiva in quanto il boom del settore è riconducibile solo all’ultimo decennio.
In aggiunta, l’ascesa delle materie prime sembra essersi arrestata, almeno per il momento, sempre a causa delle perplessità sulla sostenibilità della crescita cinese e la rivalutazione della divisa domestica penalizza le esportazioni.
SINTESI
Entrambe le due economie sono molto condizionate dalla produzione e dai prezzi delle materie prime, oltre che da una espansione immobiliare senza precedenti che non potrà essere sostenuta a lungo. In aggiunta, le due nazioni hanno consumato negli ultimi anni la poca vena manifatturiera ancora presente nei Paesi diventando sempre più degli erogatori di soli servizi.
L’orizzonte sembra, di conseguenza, più fosco di quanto non sia il presente che ancora garantisce una crescita decorosa per entrambe le economie, ma che sembra molto legato alla fame di materie prime e di investimenti da parte della Cina in entrambi i Paesi.