Saturday 23rd November 2024,
Pinguinoeconomico

FIDUCIA DEI CONSUMATORI USA e LA CURVA DEI RENDIMENTI – I RISCHI PER WALL STREET

Nelle ultime settimane la fiducia dei consumatori americani ha continuato ad erodersi, dopo sei mesi di euforia successivi all’elezione di Trump, e anche l’andamento della curva dei rendimenti segnala un ritmo di crescita dell’economia a stelle e strisce sicuramente più modesto e non in linea con le aspettative della Fed, della Casa Bianca e degli economisti.

Quali implicazioni potrebbe avere un deterioramento, modesto o significativo di entrambi i parametri sulla Borsa americana? Si tratta dell’ennesimo tormentone che si dibatte sulla divergenza tra l’andamento dell’economia finanziaria e quella reale.

In presenza di dati macro economici in continuo deterioramento, è assai probabile che la fiducia dei consumatori continui ad indebolirsi anche nei prossimi mesi, in linea con le anemiche prospettive dei consumi in crescente declino già negli ultimi trimestri. L’illusione di una veloce riforma fiscale da parte della nuova amministrazione repubblicana è ormai  rimandata  al 2018, mentre i consumatori sono delusi sia dalla mancanza di un ulteriore stimolo fiscale, che dal deterioramento del quadro economico americano a stelle e strisce.

Tale scenario potrebbe provocare un rallentamento, già peraltro evidente, nell’acquisto di abitazioni, auto e altri beni e servizi, tutti  pilastri del livello di crescita economica. In caso di crescita modesta, anche i ricavi ed i profitti aziendali tenderanno ad indebolirsi, mettendo a dura prova le quotazioni dei titoli che scontano già profitti stellari anche per i prossimi esercizi.

La difficoltà è quella di capire se tali incertezze sul fronte macro economico si rifletteranno negativamente anche sui mercati azionari, imponendo una correzione lieve o marcata degli indici.

La domanda non è delle più banali, in quanto l’entusiasmo dei consumatori è stato sicuramente uno dei pilastri portanti del rialzo borsistico realizzato da inizio novembre fino a fine giugno e  ha consentito a molti indici di Wall Street di mettere a segno uno dei migliori primi semestri degli ultimi anni.

Finora, anche in casi di divergenza tra economia reale e finanziaria, i mercati hanno continuato imperterriti a mietere nuovi record, incuranti del deterioramento dei dati macro economici negli ultimi mesi.

Anche nell’ultimo periodo, i consumatori si sono convinti che l’economia finanziaria sia in grado, grazie all’aiuto incessante dell’intervento delle Banche Centrali, di trascinare anche la crescita economica. Una sorta di politica dei vasi comunicanti o dello sgocciolamento che fu il fulcro della “Reaganomics” negli anni ottanta ed alla quale, forse inopinatamente, si dà il merito di aver risollevato la crescita a stelle e strisce in seguito ai disastrosi anni settanta. Quel periodo fu contrassegnato da due crisi petrolifere mondiali ed un tasso di disoccupazione che raggiunse a fine decennio il 10,8%, il più elevato in assoluto dalla seconda guerra mondiale e che non fu superato nemmeno nel 2009/10, gli anni successivi alla Grande Recessione.

Difficile pensare che l’economia reale recuperi velocemente il “gap” delle eccessive valutazioni di quella finanziaria in mancanza di uno spostamento della ricchezza dal capitale al lavoro. A tal riguardo, si sta invece verificando l’esatto opposto con l’automazione e la robotizzazione che stanno cancellando centinaia di migliaia di impieghi.

La capacità di spesa del consumatore statunitense negli ultimi anni si è pertanto mantenuta costante solo grazie alla leva finanziaria (debito) e non in virtù della crescita dei redditi. Di conseguenza, potrebbe essere, invece, più probabile che l’elevato multiplo borsistico tra prezzo ed utili si contragga a livelli più vicini alla media storica.

Oltre alla fiducia dei consumatori, anche la curva dei rendimenti è sempre stata in passato un buon indicatore, in anticipo, sulla percentuale di entrata dell’economia americana in una futura recessione ed in particolare lo spread tra il rendimento del titolo biennale e quello a dieci anni.

Quando lo spread tra i due titoli si amplia, la curva dei rendimenti si irripidisce e gli investitori si aspettano repentini rialzi dei tassi. Viceversa, quando si riduce si prevede un rallentamento del tasso di crescita dell’economia.

Infine, quando i tassi di interesse a breve salgono al di sopra di quelli a lungo, l’inclinazione della curva dei rendimenti si inverte a negativa e negli ultimi cinquant’anni tale fenomeno ha sempre anticipato una successiva recessione.

FIDUCIA DEI CONSUMATORI -1

Il grafico sottostante evidenzia il picco di euforia raggiunto nei due mesi successivi l’elezione di Trump, durante il quale la curva ha aumentato l’inclinazione positiva con l’allargamento dello spread tra i due titoli sull’ottimismo post elettorale, prima di contrarsi di nuovo nell’ultimo periodo.

I tassi di interesse a lungo termine erano saliti sull’onda delle promesse di un forte stimolo fiscale, sulle aspettative di una veloce approvazione della riforma sanitaria e sulla previsione di un aumento delle spese per le infrastrutture, manovre che sembravano facilmente realizzabili, anche in tempi brevi, grazie al controllo di entrambi i rami del Parlamento da parte dei repubblicani.

FIDUCIA DEI CONSUMATORI - 2

Al contrario, nessuna delle promesse elettorali è stata ancora approvata e l’anno fiscale che si chiuderà a settembre sembra destinato a terminare senza alcuna variazione legislativa di rilievo.

In risposta, la curva dei rendimenti si è pericolosamente appiattita scendendo anche al di sotto del livello pre elettorale.

In aggiunta, l’ultima versione del Pil del primo trimestre cresciuto all’1,4% ha confermato che le previsioni di una ripresa del 3-4%, annunciate da Trump, sono ormai una chimera. Si potrà sperare in un 2% scarso, ma consapevoli che il numero finale, per il 2017, sarà presumibilmente più vicino all’1%.

FIDUCIA DEI CONSUMATORI - 3

Nel caso in cui avessimo raggiunto il picco della fiducia dei consumatori, assisteremo ad un progressivo declino del livello di spesa che porterebbe ad un ulteriore indebolimento della crescita. Tale situazione è già incorporata nell’attuale appiattimento della curva dei tassi ma complicherebbe lo scenario economico futuro. In situazioni normali e senza il paracadute monetario della Federal Reserve, il mercato azionario avrebbe già manifestato segnali di inquietudine, aumentando la volatilità e riavvicinando le valutazioni del mercato finanziario a quelle dell’economia reale.

 

SINTESI

Qualora i fondamentali macro economici continueranno a peggiorare, come si sta verificando da inizio anno, anche il mercato azionario sarà esposto ad una correzione più o meno marcata ed in tempi sempre più brevi.

In aggiunta, gli stimoli monetari si stanno riducendo ovunque ed i tassi di interesse sono in rialzo già in mezza parte del pianeta provocando una contrazione dei flussi di acquisto verso gli assets più rischiosi, quale il mercato azionario ed il settore immobiliare.

La compressione della volatilità che ha raggiunto minimi storici potrebbe, di conseguenza, esplodere significativamente, sebbene per brevi periodi, generando in questi casi correzioni anche sensibili dei titoli e degli indici, oltremodo ingigantite anche dalla scarsa liquidità estiva.

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