Ritorna nella settimana, un po’ a sorpresa, il timore di un rialzo dei tassi americani, sin dalla prossima riunione di giugno. L’evento ha destabilizzato in particolare i listini a stelle e strisce che hanno evidenziato, nell’ultima ottava, una maggiore fragilità rispetto ad Europa ed Asia che avevano già incominciato a flettere, sin da inizio mese.
Anche l’impostazione tecnica dello S&P500 segnala il rischio di una repentina discesa dell’indice, qualora gli attuali supporti in area 2020-2050 dovessero essere definitivamente violati.
La settimana non ha avuto altri sussulti, in mancanza di dati economici rilevanti da tutti i principali mercati mondiali. La possibilità di un rialzo dei tassi alimenta di nuovo la preoccupazione per la sorte delle società americane che hanno un debito con basso rating e faticano a rinnovarlo, una volta in scadenza. Infine, non va dimenticata la bolla creditizia cinese che rimane un fattore di rischio notevole per la stabilità finanziaria planetaria.
Durante il G7 il ministro giapponese ha ribadito la contrarietà a svalutazioni competitive del cambio, che inneschino una guerra valutaria, per favorire le esportazioni. Il Giappone è stato proprio uno dei Paesi che più ne ha beneficiato.
USA
Il dato macro economico più significativo dell’ottava è stato senza dubbio la risalita dei prezzi dei beni al consumo. Il tasso d’inflazione è cresciuto su base mensile ad aprile (+0,4%). Sebbene evidenzi un modesto calo su base annua, gli Stati Uniti sono forse l’unico Paese sviluppato che presenta un incremento dei prezzi.
La Federal Reserve è consapevole che vi siano pressioni inflazionistiche sui beni di prima necessità (food) ed anche sui salari e che i tassi di interesse sono ad un livello troppo basso per poterla contrastare efficacemente.
Anche nella settimana entrante parleranno membri della Banca Centrale che potrebbero confermare l’atteggiamento restrittivo presente nel rapporto dell’ultima riunione. La Fed ha segnalato che alzerà sicuramente i tassi di interesse, forse già a giugno, qualora non intervengano fattori estremamente negativi per l’economia, un cambio di rotta rispetto alle dichiarazioni precedenti, molto meno interventiste.
ASIA
In Cina, la netta riduzione dei prestiti bancari ad aprile, rispetto al diluvio di marzo con un trilione di dollari di nuovi crediti aperti, mantiene Pechino in allerta per erogare nuovi stimoli monetari, peraltro recentemente smentiti.
L’aumento dei default societari ha ridotto anche il livello delle nuove emissioni di bond. Queste ultime sono diminuite di oltre un terzo ad aprile rispetto al mese precedente.
Il Nikkey beneficia dell’indebolimento dello yen che si è portato oltre i 110, rispetto al biglietto verde, segnando un rialzo settimanale del 2%, malgrado le reiterate preoccupazioni per la bassa crescita evidenziate nel corrente trimestre. Un’altra settimana positiva anche per Sidney, la terza consecutiva, pur con il ribasso delle ultime due sedute.
L’equilibrio dei mercati asiatici rimane, tuttavia, precario ed appeso anche alle sorti dei prezzi delle materie prime. Il nuovo indebolimento di molto metalli ferrosi (ferro ed alluminio) e non (rame ed oro) è per ora compensato dal rimbalzo del petrolio che in settimana ha raggiunto i massimi dallo scorso novembre.
EUROPA
Il surplus delle partite correnti tedesco ha raggiunto il 7,6% del Pil, un livello considerato inaccettabile dagli altri partners dell’area euro. Quella che sembrerebbe, in prima battuta, un’economia efficiente è in realtà ossessionata dal risparmio rispetto al consumo. In tal modo, la prima economia continentale è un freno alla crescita degli altri Paesi fino a quando questa distonia non verrà smussata.
In aggiunta, le pressioni deflazionistiche proseguono, anche nell’economia teutonica, con i prezzi alla produzione che scendono, ad aprile, per il 33esimo mese consecutivo.
Italia: secondo l’Istat il Pil crescerà del 1,1% nel 2016, rispetto allo 0,8% del 2015.
UK: ritorna a scendere l’inflazione ad aprile, dopo il picco di marzo ai massimi da un anno.
Francia: Pil al +1,3% nel 2015, con un deficit al 3,6% ed un debito pubblico al 96,1% sempre rispetto al Pil.
MATERIE PRIME
Il grafico conferma la settimana negativa del rame.
Anche l’oro si è avvicinato pericolosamente al supporto a 1.250 dollari l’oncia sui timori per un probabile rialzo dei tassi di interesse americani.
Petrolio in calo nelle ultime sedute, in seguito alla ripresa della produzione in Canada, Nigeria e Libia, ridotta nelle precedenti settimane per ragionali ambientali (incendi) o politiche (guerre).
VALUTE
Dollaro di nuovo protagonista. La divisa americana ha ripreso a correre sulla stabilizzazione dell’economia americana ed i reiterati timori di rialzo dei tassi. Di conseguenza scatta il nuovo allarme per le divise emergenti.
Di seguito il crollo senza fine della narra nigeriana, inversamente proporzionale al calo della produzione petrolifera del Paese.
SINTESI
I mercati azionari dimostrano, sempre più frequentemente, la loro dipendenza dalla liquidità o dalle decisioni delle Banche Centrali. In un’epoca nella quale i fondamentali continuano a deteriorarsi, le valutazioni dei titoli sono ancora sostenute dai buybacks azionari e dalle azioni o dichiarazioni delle autorità monetarie.
Mentre la Fed ha staccato il piede dall’acceleratore, la Banca del Giappone e della Cina stanno frenando preoccupate dai ritorni modesti sull’economia reale dell’eccessivo intervento monetario.
La Bce, è al contrario, è quella che è rimasta più indietro e continua a spingere riportando la sua esposizione ai livelli massimi di fine 2011, acquistando bond i cui rendimenti continuano a decrescere.
La Banca Centrale Europea ha iniziato anche il suo programma di rastrellamento di corporate bond, il cui 10% del totale emesso ha già rendimenti negativi.