Grexit o no grexit: questo è il tormentone che preoccupa le banche centrali e Bruxelles, ma non i mercati finanziari, che hanno continuato a festeggiare nelle ultime tre settimane, da quando, alle elezioni politiche greche, la sinistra ha ottenuto un mandato popolare forte per rinegoziare il patto di austerità con l’odiata Troika e rifiutare ogni sorta di salvataggio condizionato.
Ora sembra che nelle ultime ore il signor Tsipras ed il suo brillante e preparato ministro dell’economia Varoufakis abbiano fatto parziale marcia indietro e siano disposti a negoziare con l’odiato nemico tedesco una soluzione ponte, che eviti il default del Paese e la susseguente uscita dall’euro con un effetto contagio sulle economie europee e non solo, difficilmente quantificabile.
Dopo tre settimane di duro braccio di ferro, sostenuti anche dalle prime manifestazioni popolari in favore delle azioni governative già intraprese, un simile voltafaccia sembrerebbe inaccettabile. In realtà entrambi gli statisti, pur conoscendo perfettamente i numeri dell’economia domestica, si aspettavano che il miglioramento economico conseguito da inizio 2014 continuasse anche nei mesi successivi. La realtà dei fatti sta, invece, dimostrando che questo processo virtuoso si è già bruscamente interrotto e che senza ulteriore aiuti il governo non solo non potrà mantenere neanche una minima parte delle proprie promesse, ma sarà invece costretto a nuovi tagli, esattamente come fecero i due precedenti. I numeri della Grecia erano e sono, infatti, sempre più drammatici.
Il Pil del quarto trimestre 2014 è sceso del -0,2%, rispetto al +0,7% del terzo trimestre, ma con una crescita del +1,7% sull’anno precedente. A gennaio si è verificato un disavanzo nelle entrate fiscale di oltre 936 milioni di euro, pari al 20,3% del totale previsto. Ci sono diverse motivazioni, anche tecniche e congiunturali, che in parte spiegano tale situazione, ma in realtà i greci hanno smesso di pagare le tasse durante la campagna elettorale, in attesa dell’esito delle urne. Il governo sta urgentemente correndo ai ripari, ma sappiamo quanto sia complicato riscuotere e combattere l’evasione in quel Paese.
Questo pessimo risultato ha dimezzato l’avanzo primario, vale a dire il surplus tra entrate ed uscite dello Stato al lordo della spesa degli interessi sul debito. La Troika vuole che sia oltre il +4%, mentre Tsipras intende abbassarlo all’1-1,5%, ma in seguito a politiche di sostentamento per le classi più deboli e non a causa di impreviste minori entrate fiscali. Almeno una delle pallottole sulle quali il nuovo governo puntava è, difatti, già spuntata.
Le prime stime sul budget di gennaio parlano infatti di un surplus primario di 443 milioni, rispetto ad un obiettivo di 1,36 miliardi e ad una avanzo di 835 milioni nello stesso periodo 2014.
La ripresa non decolla ed è evidente anche dallo stallo nel declino del tasso di disoccupazione che a novembre, ultimo dato disponibile, è rimasto invariato rispetto ad ottobre ad un insostenibile 25,8%, sebbene sia sceso del 1,9% in termini percentuali rispetto al precedente anno, quando stazionava, invece, al 27,7%. Anche i primi dati parziali di dicembre non sono confortanti, perché confermano che il trend virtuoso si è bloccato ed anzi invertito, dopo la stagione turistica, con un incremento dei disoccupati di +3.861 unità.
Anche il settore delle costruzioni è sempre al palo. L’associazione di categoria ha comunicato che i nuovi permessi di costruzione sono scesi a novembre del -30,9%, rispetto allo scorso anno.
Infine la BCE ha dovuto in settimana estendere l’intervento di liquidità alle banche greche fino al massimo previsto di 65 miliardi di euro, cinque in più che in precedenza, a seguito delle numerose richieste di liquidità avanzate dagli istituti ellenici. Secondo recenti indiscrezioni, sembra invece che la necessità di liquidità del sistema finanziario ellenico sia pare a 90 miliardi e quindi vicino al collasso.
L’emorragia di prelievo dai depositi bancari è diminuita, ma continua senza sosta. In cinque anni i greci hanno prelevato un terzo dei deposti bancari che sono passati da 240 a 160 miliardi e li hanno utilizzati per sopravvivere alla grave recessione, sopperendo alla mancanza di redditi, o li hanno trasferiti all’estero od infine nascosti per paura di una uscita dall’euro ed una conversione dei depositi in una nuova dracma o in un controllo dei capitali.
In questo contesto così depresso il nuovo governo intende, nelle prossime sei settimane, riassumere 3.900 dipendenti pubblici, recentemente licenziati dal precedente esecutivo, alzare il salario minimo ed anche le pensioni per una fascia disagiata della popolazione.
Rifiutando i sette miliardi della tranche di salvataggio, che devono essere erogati a fine febbraio, la Grecia sembra avere fatto i conti senza l’oste, visto che intende aumentare le uscite a fronte di entrate in diminuzione e sempre più incerte.
In realtà, come continua a ribadire il suo ministro delle finanze, il Paese non sarà mai in grado di sostenere il peso di questo attuale debito e quindi una ristrutturazione sarà necessaria.
I contributi positivi dell’export da soli, infatti, non sono in grado di portare a quella crescita sostenibile di medio lungo periodo che manca al Paese da anni. In un contesto di rallentamento della crescita globale è necessario far leva sulla domanda interna per evitare di registrare una ripresa anonima. Purtroppo, finché il tasso di disoccupazione rimarrà a questi livelli storicamente elevati, sarà difficile attendersi una ripresa dei consumi interni.
Abbiamo rimandato il problema greco in avanti (“kicked the can down the road”) nel 2010 per salvare le banche tedesche e francesi. Il debito è già stato ristrutturato due volte con maturazione a babbo morto ed interessi quasi nulli, ma il Paese ha la polmonite cronica. La crescita del 2014 è illusoria e viene comunque dopo sei anni di grave depressione e Pil in calo del -25%. Un rimbalzino che non deve illudere sulle possibilità di ripresa del Paese, che non ha più margine di manovra con un simile debito, pari ancora al 177% del PIl.
Mentre la nave affonda, l’Europa cercherà ancora una volta di mettere una pezza sulla falla, rimandando il problema ai prossimi anni. La Grecia ha lanciato l’S.O.S. ed è pericoloso far finta di non sentirlo
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