Tuesday 03rd December 2024,
Pinguinoeconomico

TAILANDIA: “BACK TO THE FUTURE” ?

1997 ovvero più di tre lustri fa e una vita in economia dove in oltre 16 anni mercati ed economie vanno dalle stelle alle stalle e viceversa. Per quale motivo sono andato a ripescare la Tailandia e quale è il collegamento tra il passato ed il futuro passando attraverso il presente ?

La Tailandia evoca in noi i paradisi turistici di Phuket, Ko Samui e l’arcipelago di PHI PHI Island che alcuni avranno avuto il piacere di visitare. Luoghi incantevoli con resort turistici partoriti dalla crescita economica di una delle Tigri Asiatiche meno conosciute. Ma dietro il veloce sviluppo si nascondono anche traffici illeciti (droga, turismo sessuale, prostituzione e sfruttamento minorile) e forti diseguaglianze sociali in una capitale, Bangkok dove la legge viene raramente applicata e rispettata e riappaiono forti proteste dopo i moti violenti della primavera 2010.

Torniamo al 1997 e precisamente a luglio quando si scatenò una delle più severe crisi finanziarie mondiali, la prima forse dell’era moderna globalizzata perché scoppiata nel sud est asiatico tra le cosiddette Tigri asiatiche, economie cresciute a ritmi impressionanti negli anni precedenti sulla scia del miracolo economico cinese attirando una massa di capitali enormi. Prima del 1997 c’era stata la grave crisi messicana del 1994 che però è rimasta confinata al centro e Sud America.

Nel 1997 e nell’anno seguente tutte le Tigri Asiatiche (Tailandia, Filippine, Vietnam, Sud Corea, Malaisia, Indonesia ed anche la città stato di Singapore) subirono un grave crollo economico in parte indotto da un eccesso di investimenti stranieri che avevano creato una bolla finanziaria ed immobiliare in quasi tutta l’Area sud orientale ma in particolare in Tailandia. Oggi la storia sembra si stia ripetendo nel’identico stesso modo ma l’investitore avido finge di dimenticarsi del recente passato crogiolandosi nel solito adagio che questa volta sarà diverso e che nulla crollerà.

Il mercato immobiliare tailandese è definito incorrettamente esuberante dai soliti economisti compiacenti quando i segnali sono di una esatta replica della bolla immobiliare del precedente millennio. Nulla di strano. Così come i mercati finanziari mondiali non hanno imparato nulla dalla lezione del crash del 2008 continuando a creare debito per pagare i precedenti utilizzando nuovo denaro senza alcun limite per reflazionare le economie creando colossali bolle sui mercati azionari europei e statunitense, altrettanto vale per l’Asia nel fare tesoro della tragica crisi del 1997. In quell’anno la fuga di capitali fu devastante e molto rapida ma i soliti analisti continuano a ripetere che non ci sarà una ripetizione di quella crisi bancaria che provocò un effetto domino in tutta la regione asiatica sud orientale.

Voglio inoltre sottolineare che a peggiorare la situazione hanno contribuito questa volta le politiche ultra accomodanti delle banche centrali che stanno prestando denaro a costo zero ad investitori/speculatori che assumono rischi sempre più elevati per remunerare adeguatamente questi finanziamenti.

Ora come allora i grandi costruttori tailandesi si sono indebitati in dollari a costo bassissimo rispetto ai costi di finanziamento del baht, la valuta locale. La bolla immobiliare non è inoltre solo confinata all’economia tailandese ma cresce e si allarga soprattutto in Cina anche se forse solo limitata per ora alle grandi città.

Tutto corre sul filo del rasoio grazie alla liquidità straordinaria ed artificiale iniettata dalle banche centrali che sembra infinita e verso la quale gli investitori più aggressivi nutrono una fiducia incrollabile. Ma cosa succederà quando la liquidità dovesse sparire come successe nel 1997 e per quali cause e cosa potrebbe fare il Governo per evitare una catastrofe che nel 1998 provocò in Tailandia un crollo del PIL del 10% ?

Negli anni compresi tra il 1990-1996, nel periodo immediatamente precedente la crisi asiatica, i flussi di capitali verso la Tailandia aumentarono di sette volte rispetto ai cinque anni precedenti  raggiungendo l’incredibile livello del 10,3% rispetto al Pil dell’epoca e così ripartiti:

–      7.6% del Pil furono prestiti offshore di banche e aziende private che testimoniano come la crisi del 1997 fu un cocktail micidiale di avidità per fare profitti veloci esclusivamente finanziari e una incredibile mancanza di controllo sull’attività di credito.

–      1.6% del PIL di investimenti finanziari e 1.1% di investimenti esteri diretti.

L’origine di questo enorme flusso di denaro fu il cambio di legislazione nel 1991 nel sistema bancario domestico che annullava i precedenti vincoli molto ristrettivi. Mentre nel quinquennio 1987-1991 il flusso di capitali bancario ammontò al 6,5% del totale nei cinque anni successivi la percentuale raggiunse il 50,4%. La motivazione del maggiore ricorso a banche straniere fu invece solo economica. I tassi in dollari erano la metà ma anche un terzo di quelli praticati dalle banche tailandesi. La stessa situazione si è ripetuta dal 2009 ad oggi con i tassi medi in dollari inferiori al 3,5% e quelli in baht che superano l’8,5%.

Quindi il ridicolo costo del denaro è ancora una volta il principale responsabile della bolla di liquidità che ha investito di nuovo il Paese.  

Come nel 1996, quando il Fondo Monetario Internazionale previde che l’economia tailandese si sarebbe ripresa nel 1997, rivedo lo stesso percorso di errori e sottovalutazioni fatto allora dal FMi nella regione asiatica proprio riguardo alla Tailanda prevista in crescita al 7,7% nel triennio 2012-2014, previsioni già perfettamente deragliate con crescita molto inferiore nel biennio appena trascorso. Nei primi quattro mesi del 2013 il totale degli investimenti nel Paese ha raggiunto i 510mln di baht con un incremento dell’80% rispetto allo stesso periodo del 2012 mentre a maggio il totale degli flussi di capitale esteri era già il triplo rispetto a quello del 2007-2008 a parità di cambio.

In sintesi una brusca frenata dei flussi di capitale verso il Paese avrebbe conseguenze facilmente prevedibili e simili a quelle della crisi del 1997. Vedo inoltre la stessa inerzia da parte del sistema finanziario domestico ed internazionale e degli organismi internazionali nel sottovalutare la potenzialità di una nuova deflagrazione a distanza di diversi anni. Anche il Governo mi sembra paralizzato, occupato a fronteggiare la protesta politica per evitare una rivolta come quella violenta del 2010 soffocata nel sangue. Nello scorso weekend 100k persone sono scese in piazza a Bangkog per protestare contro governo e la corruzione dilagante mentre ieri 1000 dimostranti hanno occupato la sede del ministero delle finanze.

A parziale consolazione sottolineo che le riserve valutarie sono molto più cospicue oggi rispetto alla precedente crisi con 18mld di valuta pregiata nella banca centrale. Lo stesso vale anche per l’Indonesia che dispone di 112mld contro 20mld nel 1997. La disponibilità di valuta estera può aiutare a difendere il cambio qualora la crisi si acuisca cosa che non riuscirono a fare i governi nel 1997 con riserve valutarie così esigue. Nei mesi successivi il crollo dei mercati locali le valute si deprezzarono da un minimo del 34% fino all’84%. Ma quando il gioco si fa duro e gli speculatori vendono la divisa a piene mani anche la Banca Centrale è destinata a soccombere come spesso abbiamo visto in passato anche per valute più blasonate come la lira italiana e la sterlina britannica nel 1992.

La Tailandia rievoca dunque brutti ricordi che sembrano potersi ripetere per l’incapacità di fare tesoro degli errori precedenti. Ma questa volta oltre ad altre economie della regione quali l’Indonesia potrebbe essere trascinata nella polvere anche il gigante indiano impantanato in una situazione di bassa crescita, alta inflazione e forte passivo della bilancia dei pagamenti che ha  provocato il crollo della rupia da inizio anno.

La Borsa di Bangkok inizia a pagare il conto di queste turbolenze e la scorsa settimana è scesa del -4,2% portando il bilancio da inizio anno a -2,4%, la terza peggiore nell’area asiatica.

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