Quest’anno i politici americani ci hanno insegnato un nuovo vocabolario con una serie di eventi dai nomi per noi incomprensibili: FISCAL CLIFF, SEQUESTER, DEBT CEILING ed ora SHUTDOWN tutti con un unico denominatore comune: il mancato accordo tra i due rami del Parlamento sulle politiche di taglio alla spesa pubblica e riduzione del deficit finito nel primo quadriennio di presidenza Obama fuori controllo con un record di oltre un trilione di dollari ogni anno.
Dal 30 settembre l’amministrazione ha dichiarato lo SHUTDOWN, cioè la chiusura parziale della macchina amministrativa pubblica in coincidenza con la fine dell’anno fiscale ed il contrasto sul finanziamento del deficit con nuove tasse o riduzione della spesa. Poiché i due rami del parlamento, Camera e Senato, sono controllati rispettivamente dai Repubblicani e dai Democratici il mancato accordo ha provocato la chiusura automatica degli uffici pubblici non considerati essenziali (parchi, musei, biblioteche, etc..) con la messa in licenza di 800.000 persone.
Nella storia americana ci sono stati in precedenza altri 17 SHUTDOWN, molti dei quali della lunghezza di un giorno o poco più. L’ultimo episodio risale al secondo mandato dell’amministrazione Clinton con una chiusura di 17 giorni a cavallo tra Natale e l’Epifania del biennio 1995-96.
Proviamo ad intuire quanto durerà e quale impatto la chiusura avrà sulla crescita economica statunitense. Sul primo punto non abbiamo alcuna certezza. Quasi tutti pensavano che non ci saremmo mai arrivati in quanto era prevedibile o perlomeno ragionevole un accordo tra i due partiti prima della scadenza. Poi si è parlato di qualche ora o pochi giorni ma siamo già al sesto giorno e cioè quasi alla seconda settimana con entrambi i partiti sulle stesse posizioni rigide e che si scambiano reciproche accuse sulla responsabilità di questo evento (in questo tutti i politici sono uguali in ogni parte del mondo). Più facile invece prevedere l’impatto negativo sulla crescita economica anche se possiamo solo stimarla. L’unico riferimento è quello del 95-96 quando con la parziale chiusura di 17 giorni sono stati bruciati 1,4 punti percentuali di PIL, una cifra considerevole. Oggi sembra che l’impatto possa essere più contenuto e compreso nello 0,3% del PIL per ogni settimana. Ricordiamoci però che siamo in un periodo di bassa crescita e che la chiusura ha un impatto sulle attività economiche dell’indotto connesso. Inoltre il 25% degli americani vive con la busta paga cioè senza risparmi e la mancata erogazione dello stipendio anche per pochi giorni provoca forti stress finanziari per onorare le diverse rate mensili di debito tra casa, auto e istruzione dei figli.
Infine parliamo del motivo politico che ha provocato lo SHUTDOWN. I Repubblicani si oppongono alla implementazione della riforma sanitaria “Affordable Care Act” e più nota come Obamacare voluta dal Presidente degli Stati Uniti a favore delle fasce della popolazione (attualmente circa 50mln di persone) che non hanno alcuna copertura previdenziale. La partenza della riforma, approvata nel 2009, è prevista per l’inizio del prossimo anno. I Repubblicani chiedono di spostare l’applicazione di una anno al 2015 per ridiscuterne i contenuti sostenendo che è troppo costosa per le aziende e per le disastrate finanze statali con un aggravio pesante sul livello del debito pubblico.
Malgrado le forti pressioni del mondo economico non solo americano sulle fazioni politiche per ricucire lo strappo un accordo sembra ancora lontano. Più passano i giorni e quello che sembrava impossibile potrebbe diventare un incubo per Obama ma anche per i mercati finanziari che tutto amano tranne l’incertezza.