Incredibile ma vero: il Dow Jones ha chiuso le contrattazioni giovedì 21 novembre sopra la soglia storica dei 16.000 punti mentre lo S&P500, già in settimana, aveva superato il livello di 1.800 per poi chiudere poco sotto. Anche il Nasdaq, l’indice tecnologico, si avvicina ai 4.000 punti, riferimento raggiunto ben 13 anni fa durante la bolla borsistica dei titoli internet dove l’indice superò addirittura i 5.000 punti.
Il rialzo sembra infinito con i tre indici che nell’ordine hanno guadagnato il 25%, 21% e 27% da inizio anno (!!) mentre l’economia non progredisce oltre il 2%, malgrado un trilione di “extra-money” immesso dalla FED nel sistema finanziario. Di questo passo la chiusura annuale dell’S&P500 sarà di gran lunga la migliore dal 1997.
Sono ormai sette le settimane consecutive di rialzo degli indici che continuano ad inanellare quasi quotidianamente nuovi record storici mentre i fondamentali dell’economia stentano a decollare e gli utili trimestrali delle aziende americane hanno registrato una preoccupante diminuzione dei ricavi sia in termini assoluti che rispetto alle solite aspettative ampiamente ribassate dagli analisti per evidenti ragioni di opportunità.
La montatura del circo o del casinò come preferiamo chiamarlo è perfetta con trapezisti, giocolieri e anche clown (media, analisti e trader) perfettamente coinvolti nel giocattolo che sembra perfetto e non rompersi mai. Sono tutti sulla stessa barca ma anche seduti dalla stessa parte (rialzisti) che potrebbe anche presto capovolgersi per il peso eccessivo…
E’ stata quindi scalata la più grande montagna del mondo e forse non è ancora finita. Arrivati infatti in cima alla vetta la nuova sfida è quella della forza di gravità. Oltre l’Everest c’è solo l’infinito come sembra la direzione esclusivamente rialzista intrapresa dagli indici azionari americani ormai entrati nel 58esimo mese di ciclo positivo.
Sorprende che la salita sia stata molto semplice e rapida. Non sono stati necessari campi base e adattamenti all’aria rarefatta, né l’ausilio di bombole ad ossigeno o superare bufere di neve. Niente di più semplice. Ben Bernanke, il presidente della Fed, ha portato in elicottero gli investitori in viaggio premio sulla cima della montagna al primo giorno di pieno sole regalando loro anche una mazzetta di dollari.
Il resto è storia ma cerchiamo di capire se questa volta sarà diverso dalle precedenti bolle come cercano di farci credere o se finirà male come sempre è accaduto dopo sensazionali rialzi.
Torniamo un momento al 18 settembre quando la Fed sorprese i mercati finanziari con la decisione di rimandare, forse “sine die”, la riduzione (tapering) dell’acquisto di titoli pubblici ed ipotecari sul mercato domestico. L’esatto contrario di quello che gli investitori si aspettavano dopo le dichiarazioni di Bernanke del 22 maggio scorso. Sono stati quattro mesi (giugno-settembre) dove è ripartita la volatilità (alternarsi di sedute positive e negative) su tutti i mercati. Il rendimento del Treasury USA (titolo governativo statunitense con durata a 10 anni) è schizzato al 3% dall’1,6% di soli cinque mesi prima. Anche la Borsa USA ha leggermente rifiatato a fine agosto con una mini correzione che ha sfiorato il 5%. Molto più accentuata, direi quasi un crollo, la discesa delle valute dei Paesi emergenti: rupia indiana ed indonesiana, ringit malese, lira turca e baht tailandese in particolare ma anche rand sudafricano, rublo russo e real brasiliano.
Sono state inoltre colpite dalle vendite anche valute cosiddette più pregiate quali il dollaro australiano o neozelandese penalizzate dalla attenuazione del fenomeno del carry trade: indebitarsi in una valuta a basso rendimento – tipicamente lo yen giapponese – per investire in attività finanziarie più remunerative ma anche più rischiose; pratica speculativa che diventa meno conveniente quando i tassi di interesse salgono.
Infine anche l’oro è sceso ed il dollaro si è rafforzato su tutte le valuti minori nella certezza che meno dollari stampati dalla Banca Centrale né diminuiscano il continuo deprezzamento di questi ultimi anni.
Dopo il 18 settembre tutto sembra invece rientrato: la volatilità è scesa sensibilmente condizione ideale per nuovi spunti rialzisti, il rendimento del T-bond è crollato fino al 2,5% ed è ripreso il “carry trade” a favore dei mercati emergenti e delle azioni.
“Tranquilli, abbiamo scherzato è tutto come prima”, questo è il messaggio subliminale della FED inviato agli investitori. E così è stato!
Le valute deboli sono state riacquistate copiosamente e non si è più parlato di rischio India, Indonesia o Brasile mentre le Borsa americana, seguita anche da quella tedesca, ha registrato continui nuovi massimi storici. Qualsiasi notizia o dato viene fagocitata dal mercato azionario che prosegue a testa bassa e senza alcuna pausa la salita parabolica. Tanto più le notizie economiche sono deludenti tanto è meglio per il mercato che stima che il “tapering” sarà rimandato alla metà del 2014, o addirittura nel 2015 o definitivamente archiviato secondi i sostenitori o teorici del QE infinito.
Se fossimo in un contesto di utili aziendali crescenti e ripresa economica soddisfacente il rialzo potrebbe anche essere in parte giustificato ma mi sembra che entrambi gli elementi indicati non si stiano verificando. La disoccupazione è ancora troppo elevata, il numero di poveri e di persone che ricevono qualche forma di sussidio governativo è raddoppiato durante l’amministrazione Obama e gli utili aziendali nell’ultimo trimestre sono stati piatti o forse in leggera decrescita, se scorporati dalla componente “buy-back” alquanto inflazionata, il peggior risultato dal secondo trimestre 2009.
La correlazione tra l’effetto Bernanke e Quantitative Easing, vale a dire l’esplosione dello stato patrimoniale della FED passato in 4 anni da 800mld a 3,85 trilioni di dollari, e l’andamento esponenziale dello S&P500 è assolutamente evidente, Il primo QE è stato annunciato a fine gennaio 2009 e l’indice ha toccato il suo minimo il 9 marzo a 666.
Da allora si sono succedute quattro operazioni di politica monetaria espansiva non convenzionale: tre QE + “Operation Twist” (vendita di titoli governativi con scadenze lunghe a 10-30 anni e riacquisto titoli brevi a 2-3 anni per abbassare i tassi di interesse). Risultato: +180% in meno di cinque anni la performance dell’indice borsistico; la cura di ormoni da cavallo ha fatto il suo effetto e Wall Street ringrazia.
Ma torniamo sulla terraferma per capire cosa e quando farà deragliare questo treno ad alta velocità.
Non credo sarà il timore o l’improbabile annuncio del “tapering”. La FED, come tutte le banche centrali si è infilata in un vicolo cieco a velocità troppo elevata ben consapevole che andrà a sbattere contro il muro creando ricadute disastrose sia per i mercati finanziari ma anche per l’economia reale.
Credo invece che due siano i principali temi anche se ne esistono poi numerosi altri ma più specifici che riguardano i fondamentali delle aziende che attualmente vengono ignorati e gli aspetti tecnico grafici degli indici che mai vanno sottovalutati.
Il primo è la crescita. Sembra una barzelletta ma se l’economia americana riuscisse ad accelerare, cosa di cui attualmente dubito seriamente, per le Borse sarebbe un grosso problema. Il QE ed il circo mediatico che hanno sostenuto questa folle corsa al rialzo sparirebbero mentre i tassi di interesse cominciano a salire. Tutto normale ma in una economia normale e non “addicted” (drogata) ai tassi di interesse a zero. Con tassi in salita si stipulano infatti meno mutui e diminuisce quindi il numero di compravendite immobiliari. Infine anche il costo del debito diventa proibitivo per l’enorme debito pubblico americano ed il Governo deve alzare le tasse per finanziare il crescente costo dell’indebitamento. Miscela esplosiva che porterebbe ad una probabile forte correzione degli indici, già ampiamente sopravvalutati.
Il secondo è il crollo di fiducia nell’operato delle Banche Centrali che credo invece molto più realistico. E’ ormai palese e dimostrata l’inefficacia dei vari QE messi in orbita dalle principali autorità monetarie mondiali che solo nell’ultimo quinquennio superano abbondantemente i 5 trilioni di dollari senza contabilizzare la Banca centrale cinese i cui dati non sono pienamente attendibili:
– crescita debole (USA, Giappone e Cina) o negativa (Europa)
– disoccupazione ancora elevata (USA e GB) e fuori controllo (Sud Europa e Francia)
– bolla immobiliare (USA, Cina e Gran Bretagna)
– “credit crunch” (Europa e Cina)
Risultati deludenti che hanno inoltre rimandato pesanti e dolorose ristrutturazioni di settori vitali dell’economia (finanza in primis) e di enormi debiti lievitati di un ulteriore 30% dallo scoppio della crisi.
Ma la fiducia non è infinita ed incrollabile; quando sarà evidente che curare un malato con la stessa medicina (credito facile) che lo ha avvelenato è un vero suicidio economico allora anche la madre di tutte le bolle scoppierà.
Per ora l’ottimismo sembra infinito ed è confermato dall’afflusso di denaro che è arrivato sul mercato azionario americano nel periodo post estivo: 32mld di dollari ad ottobre, terza performance di sempre, e 9mld nella prima settimana di novembre un nuovo record storico.
Oggi la differenza significativa rispetto alle bolle ed ai successivi crolli del 2000 e del 2007 è che il Governo e la banca centrale americana hanno già speso tutte le loro munizioni per farci credere che la ripresa è in corso e tutto funziona come prima.
E’ difficile abbandonare una bella festa quando tutti gli invitati sono ancora lì che ballano. Tuttavia ci sarà sempre qualcuno che inizia ad uscire ed è meglio non aspettare che spengano la musica.
Come dicono a Wall Street, ed indipendentemente dalle mie motivazioni sopra elencate, the mood can change in a dime (l’umore può cambiare in un attimo/centesimo..)