Draghi sta trasformando la Banca Centrale europea, prendendo a modello la Fed americana.
In seguito alle iniziative intraprese dalla Bce nel comitato dello scorso giugno, Draghi ha annunciato alcuni nuovi radicali cambiamenti nella politica monetaria europea e li ha ulteriormente modificati nella riunione di luglio, di questa settimana, nella quale ha approvato anche modifiche che riguardano la conduzione e la struttura della banca centrale dal 2015.
Tre sono gli importanti cambiamenti che verranno implementati dal 2015, anche se Draghi ha posto l’attenzione principalmente solo su due aspetti. Con l’introduzione della Lituania nell’EMU (Unione Monetaria Europea) dal primo gennaio, verrà modificata la rotazione tra i rappresentanti delle singole banche centrali con diritto di voto. Le banche centrali dei Paesi economicamente più rilevanti voteranno quindi più spesso, rispetto a quelle dei Paesi che producono in percentuale meno Pil.
Questo cambiamento si adegua molto da vicino all’attuale struttura della Fed, dove esiste una rotazione tra i presidenti delle varie banche centrali regionali con due eccezioni: 1) la New York Fed ha un voto permanente all’interno del comitato (Fomc) e qualcuno vorrebbe in Germania la stesso trattamento per la Bundesbank, ma sembra impossibile almeno per ora. 2) il numero dei rappresentanti nel Board della Fed supera quello dei presidenti regionali, mentre nella Bce, il Board esecutivo ha solo cinque membri in aggiunta ai suoi rappresentanti.
Le altre variazioni riguardano uno spostamento del meeting mensile ad una frequenza di sei settimane (molto ironicamente alcuni analisti sostengono che la Bce pensi che la crisi finanziaria sia finita e pertanto allunghi le vacanze…), anche in questo caso lo stesso periodo della Federal Reserve, malgrado Draghi abbia smentito che ci sia la volontà di allineare le due riunioni. Si tratta di un aspetto per lo più formale, in quanto in passato, in momenti di estrema emergenza, la Fed è intervenuta al di fuori del Fomc (Comitato) per emanare decisioni straordinarie.
Sempre scimmiottando la Fed, la Bce inizierà dal prossimo anno la pubblicazione del Comitato, le cosiddette “minute”; molto seguite sono infatti quella della Fed per interpretare gli umori all’interno del Board e per verificare se le decisioni siano state prese all’unanimità o esistano divergenze.
Gli altri commenti di Draghi, nella riunione di luglio, sono stati invece assolutamente prevedibili. Ha fornito ulteriori precisazioni tecniche sul programma di finanziamento alle banche europee (TLTRO), che partirà a settembre e dicembre 2014 e che potrà essere utilizzato individualmente da ogni singolo Istituto o, all’interno di un non meglio specificato Gruppo. Il Governatore ha specificato che i fondi a disposizione saranno compresi tra i €400mld e 1 trilione. Infine, nel precedente meeting di giugno, sembrava che Draghi avesse esaurito le proprie munizioni, preservandosi solo un’opzione per un QE europeo, non facile da implementare. Ieri ha fatto invece una parziale marcia indietro, facendo
intendere che saranno possibili nuovi aggiustamenti, ma senza lasciare intendere quali. La Bce si trova infatti in un vicolo cieco, con la deflazione che morde e la moneta unica che non riesce a svalutarsi, malgrado la debolezza economica dell’area euro.
Il cambio, infatti, è il principale incubo della Bce. Draghi ha assicurato che non è il principale obiettivo economico–monetario per la banca centrale, ma rimane un importante input per il tasso di inflazione. Dopo un mese dall’introduzione di misure straordinarie per indebolire la valuta unica, il governatore si è mostrato alquanto frustrato dalla tenuta del tasso di cambio, lasciandosi scappare che segue l’andamento del tasso di cambio con “great attention.”
Ma i paragoni tra le due banche centrali sono ormai numerosi e le differenze quasi impercettibili. Draghi canta infatti lo stesso disco della Yellen a proposito dell’uso della politica monetaria per assicurare la stabilità finanziaria. Nella stessa settimana, entrambi i governatori, hanno avuto il coraggio di affermare che la prima linea di difesa sono le misure e le regolazioni macro economiche (quindi le politiche messe in campo dai rispettivi Stati) e non le politiche monetarie (prezzi e quantità di moneta) disposte dalle banche centrali. Questa nuova ortodossia si scontra pesantemente con quanto implementato invece da entrambe nell’ultimo quinquennio. Pertanto potremmo chiudere le banche centrali, organismi inutili e molto dannosi, perché contribuiscono, in larga misura, alla creazione di bolle finanziarie in tutti gli assets (obbligazioni, azioni, mercato immobiliare, materie prime), visto che i Governi sanno cosa devono fare e dovrebbero agire, senza l’infinito paracadute monetario, nel lungo periodo solo controproducente.