Il 2014 è finito: un anno vissuto pericolosamente dal punto di vista economico-finanziario. Molte delle attese di un recupero economico globale sono andate deluse e diversi nuovi focolai di crisi si sono aperti, andandosi ad aggiungere a quelli, numerosi, già presenti da diversi anni. Il sistema finanziario, tuttavia, non è ancora imploso grazie alla enorme liquidità immessa nel circuito da parte delle banche centrali. Le politiche di “quantitative easing” sempre più aggressive hanno per ora consentito solo di prendere tempo, ma i problemi rimangono e saranno purtroppo trasferiti anche al 2015. Vediamo, pertanto, partendo da oriente verso occidente, dove siano i principali rischi di crisi e quale sarà il potenziale “cigno nero”,
AUSTRALIA: l’economia non entra in recessione dal 1991. Tuttavia, nel secondo semestre 2014, il crollo dei prezzi di molte materie prime prodotte nel Paese ed il rallentamento dell’economia cinese hanno sensibilmente ridotto le aspettative di crescita per il 2015.
GIAPPONE: forse la vera mina vagante. L’Abenomics è deragliata con il Pil in caduta libera, la bilancia commerciale in deficit e l’inflazione che, dopo una fiammata di qualche mese, è iniziata di nuovo a calare. In aggiunta, la banca centrale monetizza l’enorme debito pubblico per tenere bassi i tassi di interesse provocando la svalutazione dello yen. Infine, non salendo i salari reali, il potere di acquisto dei consumatori nipponici continua a ridursi.
CINA: la vera scommessa è quanto rallenterà l’economia cinese. La maggioranza degli economisti converge ormai su un risultato inferiore al 7%, ma sappiamo quanto questi dati ufficiali siano manipolati da diversi anni. La caduta dei prezzi immobiliari, la minor domanda di materie prime e la bolla creditizia che sta già incominciando a sgonfiarsi evidenziano una realtà in forte trasformazione che non aiuterà la crescita economica globale.
RUSSIA: se non sarà default, poco ci manca. Anche lo stimato -5% di Pil nel futuro anno avrà un impatto molto forte sulla tenuta dell’economia sovietica. Difficile infatti che il prezzo del petrolio risalga nella seconda metà del 2015, come molti analisti e Paesi produttori auspicano. C’è poi la questione politica e militare. Si continua, infatti, a sottovalutare le future implicazioni della guerra civile nell’est dell’Ucraina. L’inverno è ormai iniziato e gran parte dell’Ucraina è al freddo e con poche ore di energia elettrica. Putin non aspetterà molto per raggiungere i suoi obbiettivi militari, tanto più se la crisi economica in Russia dovesse peggiorare.
EUROPA: la crisi dell’Ucraina è stata mal gestita. Il Paese è con riserve valutarie al lumicino (inferiori ai $9 miliardi). Dieci mesi dopo la defenestrazione del premier filo-russo Yanukovich, l’Ucraina necessita di almeno $15 miliardi per fronteggiare il 2015, cifra che né l’Europa, né il Fondo Monetario Internazionale vogliono erogare.
La Grecia è tornata a far paura. Il 25 gennaio si terranno nuove elezioni politiche anticipate con la minaccia di una vittoria, anche se di misura, della sinistra radicale contraria alle misure di austerity, imposte dalla Troika, per non uscire dall’euro. Intanto il rendimento del titolo a tre anni è schizzato al 12%, mentre la Borsa ha perso il 30% nell’arco di due settimane.
Il resto del continente arranca con una crescita modesta, elevata disoccupazione e debiti pubblici in spaventoso aumento. Non c’è ricetta per uscire dalla crisi che attanaglia, in misura diversa, tutti i Paesi dell’area euro, mentre le nazioni che hanno ancora una propria moneta nazionale si sono maggiormente difese. Una di queste eccezioni è la Gran Bretagna che registra tassi di crescita al +3%, ma al prezzo di forti disuguaglianze sociali e territoriali all’interno del Paese.
La crisi dei PIIGS non è infatti risolta. I bassi tassi di interesse non nascondono una crescita inesistente ed una domanda debole. Alcuni tra i Paesi più colpiti (Spagna e Grecia) mostrano timidi segnali di ripresa, ma la situazione generale è sempre molto pesante.
STATI UNITI: anche qui rimangono molte perplessità sul passo della crescita economica. Si passa da trimestri che registrano Pil negativo oltre il -4% (il primo dell’anno), ad una avanzata di quasi il 5%, nel terzo trimestre. La situazione strutturale dell’economia nel suo complesso rimane comunque piuttosto critica, nonostante la banca centrale abbia stampato $4 trilioni nell’ultimo quinquennio. I consumatori sono sempre molto indebitati e la loro capacità di spesa, vero ed unico motore della crescita interna (70% del Pil), comincia a scemare.
AMERICA LATINA: una parte del mondo spesso dimenticata, forse a proposito, ma in progressiva difficoltà. La crescita economica del continente sudamericano non supererà complessivamente l’1% nel 2015, un risultato alquanto modesto. Questa parte del mondo potrebbe essere un’altra mina vagante, ampiamente sottovalutata. Argentina e Venezuela sono, per motivi non molto diversi, sull’orlo di un prossimo default con iperinflazione e scarsità di beni nei grandi magazzini. Ma il grande malato del continente è il Brasile che potrebbe anche non crescere nel 2015 e che ha assistito ad una svalutazione del real verso il dollaro del 20% da luglio ad oggi. La prima economia del continente sta scivolando in una crisi economica che non vedeva dal 2003, prima delle elezioni del socialista Lula.
MATERIE PRIME: il boom dei prezzi di quasi tutte le materie prime nel decennio precedente ha consentito a molti Paesi produttori di nascondere molti dei problemi irrisolti di deficit commerciale, inflazione e debolezza del cambio. La corsa delle quotazioni ha portato dollari ed investimenti, ma non tutti i Paesi ne hanno approfittato per mettere ordine nelle loro finanze. Ora la festa è finita e le materie prime stanno crollando, mettendo in gravi difficoltà i bilanci di diversi stati, la cui fonte principale di reddito è la vendita di una o più materie prime (petrolio, rame, oro). Tutto questo si sta verificando in pochi mesi e non è possibile diversificare in un periodo così breve le fonti di ricavi di una economia.
VALUTE: la guerra valutaria è in atto già da diversi anni, con conseguenze che saranno dannose per tutti i Paesi implicati. Tuttavia, si è aggiunta da metà anno la forza del dollaro, che sta schiacciando le valute deboli, tipicamente quelle dei mercati emergenti, alcune delle quali (Indonesia, Turchia e Sud Africa) hanno raggiunto nuovi minimi storici verso il biglietto verde. La debolezza delle valute comporta, quasi regolarmente, un incremento del deficit commerciale e del tasso di inflazione, combattuto con un rialzo dei tassi di interesse che danneggia la crescita economica.
TASSI: l’economia mondiale è da anni “addicted” (drogata) ai tassi bassi, necessari per ripagare debiti astronomici, sia pubblici che privati, ma anche societari. Questa politica provoca, tuttavia, a lungo termine, gravi distorsioni, in quanto i tassi contenuti spingono a contrarre nuovi debiti ed alla speculazione finanziaria, indebitandosi per investire in assets più remunerativi (carry trade). La volontà delle banche centrali è quella di mantenere questa folle politica all’infinito, ma i tassi potrebbero comunque invertire la rotta, malgrado gli acquisti massici di titoli di stato. Negli Stati Uniti, il rendimento del titolo governativo a due anni è salito allo 0,73%, livello più elevato dall’aprile 2011 (crisi del debito USA), a conferma della prossima manovra al rialzo sui tassi della Fed da aprile 2015.
MERCATI FINANZIARI: è la madre di tutte le bolle. Hanno cercato di convincere i risparmiatori di tutto il mondo che le Borse non scenderanno più e con i tassi a zero non c’è altra alternativa di investimento al mercato azionario per ottenere dei rendimenti decenti. Ma dopo lo scoppio della bolla immobiliare e di quella delle materie prime, il 2015 potrebbe essere l’anno del crollo dei mercati azionari, ma anche di quelli obbligazionari in caso di probabile inversione dei tassi.
SINTESI: Non ci sono, tuttavia, solo aspetti negativi. Il calo considerevole del prezzo del petrolio compenserà molti consumatori/risparmiatori del calo dei rendimenti sui propri investimenti. L’imprevisto risparmio sarà destinato sia a ripagare i debiti in eccesso, ma anche a nuovi consumi.
L’economia tende infatti a trovare i suoi aggiustamenti nel tempo, per poi ripartire di nuovo al rialzo. Purtroppo, negli ultimi anni, le politiche delle banche centrali hanno solo ulteriormente indebolito la struttura delle economie mondiali. Si è scelto di prendere tempo, invece di soffrire per qualche anno una grave recessione, come sarebbe stato necessario, riducendo i debiti. Il risultato è stato però modesto e molto pericoloso: una lunga stagnazione che porterà presto a nuove crisi, forse già dal 2015.